FESTIVAL DI ROMA 2014 – Clive Owen racconta The Knick e il genio di Steven Soderbergh

Clive Owen in The Knick
E' arrivato Clive Owen, uno degli ospiti più attesi di questa edizione del festival romano. L'attore ha raccontato alla stampa il progetto e la lavorazione della serie Tv The Knick. Diretta da Steven Soderbergh e strutturata in 10 episodi l'opera verrà programmata su Sky Atlantic a partire dall'11 novembre

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Clive Owen, uno degli ospiti più attesi di questa edizione del festival romano, ha raccontato alla stampa il progetto e la lavorazione della serie Tv The Knick. Diretta da Steven Soderbergh e strutturata in 10 episodi l'opera verrà programmata su Sky Atlantic a partire dall'11 novembre. L'accoglienza in America è stata positiva per quanto riguarda il numero di spettatori e controversa da un punto di vista critico: troppo sangue e realismo secondo alcuni. Owen ha espresso il suo punto di vista sull'intera operazione.

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Da dove è nata l'idea di partecipare a questo progetto? Una serie così lunga è un lavoro molto impegnativo.

Non avevo all'inizio tantissima voglia di lavorare a una serie televisiva, perchè temevo che mi avrebbe portato via troppe energie e troppo tempo. Ovviamente conoscevo Steven Soderbergh anche se non avevo mai avuto l'opportunità di lavorare con lui. Un giorno mi ha chiamato al telefono e mi ha detto che aveva una sceneggiatura da farmi leggere. Appena cominciai a leggerla venni subito rapito dal personaggio, dalla storia e da quel mondo e così chiamai Soderbergh 45 minuti dopo aver finito di leggerla per dirgli che avrei fatto la serie. Il medico che interpreto era un personaggio troppo interessante e affascinante: è razzista certo, fa uso di droghe e non si ferma davanti a nulla, ma allo stesso tempo è un genio nel suo campo, un pioniere. Interpretarlo non è stato facile perchè dovevo dare un equilibrio al personaggio, contemporaneamente ero curioso di capire fin dove avrei potuto spingermi. Il ritmo delle riprese è stato incalzante. Eravamo tutti concentrati sul lavoro e sulle sfumature della storia e non serviva improvvisare perchè la sceneggiatura era perfetta.

Come mai i medici attraggono così tanto il pubblico?

Le serie tv ambientate negli ospedali stanno avendo molto successo negli ultimi anni ma credo che ciò dipenda dal fatto che quando si parla di medici od ospedali la posta in gioco è altissima e lo spettatore si identifica moltissimo nella vicenda che si racconta: è quasi sempre una questione di vita o di morte. Oltretutto l'ambiguità è necessaria, perchè se il mio fosse stato un personaggio senza macchia probabilmente sarebbe stato meno interessante.

Il realismo in The Knick è impressionante. Come avete fatto?

Il merito principale è del genio di Steven Soderbergh che come sapete è il fautore principale di tutte le immagini. Lui fa tutto da solo: fotografia, montaggio, regia. Grazie a lui The Knick ha un aspetto visivo estremamente forte e dei dettagli così curati. Su ogni singola scena Steven ha una prospettiva sempre unica e speciale. E' un regista che cerca sempre un nuovo punto di vista, una nuova angolatura da cui inquadrare. Poi un ulteriore contributo è arrivato dallo scenografo e dalla costumista. Tenete presente che realizzare un prodotto relistico era doveroso per il tipo di storia che volevamo raccontare. Siamo nella New York dei primi del Novecento e dovevamo essere il più fedeli possibile nella violenza e nella veridicità di certi dettagli a quello che accadeva negli ospedali in quel periodo. Dovevamo essere credibili e per fare questo ci siamo affidati a molte ricerche storiche e a diversi consulenti. 

In questa fase storica le serie Tv sono forse più interessanti dei film. Continuerà a lavorare per altri progetti simili?

Sì è vero che la tv oggi sta vivendo un periodo molto interessante. Pensate a proprio a Soderbergh: ha dichiarato pubblicamente di voler lasciare il cinema e poi dopo poche settimane ha iniziato The Knick. In Tv c'è più spazio per la libertà. Ci si può permettere di correre rischi maggiori, non devi lottare per un mercato e non devi confezionare un prodotto con la preoccupazione di dover trovare un distributore e così via. Io personalmente non amo molto fare sempre lo stesso ruolo ma in questo caso è stata un'esperienza galvanizzante. E' chiaro che per ogni progetto a prescindere che si tratti di cinema, tv o teatro, alla fine conta sempre la storia e il regista. 

Ci sarà una seconda serie?

Sì. Io e Steven presto inizieremo le riprese per una seconda stagione di 10 episodi e vi posso anticipare che le storia prenderà pieghe ancora più folli e inaspettate.

 

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