FESTIVAL DI ROMA 2014 – Due volte Delta, di Elisabetta Sgarbi (Prospettive Italia)
Più che gli uomini, i pesci, o l’acqua, in finale sembrano invece essere le reti dei pescatori il vero protagonista di questo piccolo ritratto filmico. Reti formate da infinite maglie, che inglobano e catturano questo microcosmo dolorante, l’acqua fin dentro le ossa, nel tentativo di trattenere qualcosa, qualsiasi, dal continuo fluire di un tempo che avanza impetuoso e lascia, dietro di sé, solo detriti di epoche migliori.
Se non si conoscesse la natura documentaristica di Due volte Delta, dittico-ittico di Elisabetta Sgarbi che galleggia placido nelle acque del Po, si potrebbe scorgere in esso un sentore d’apocalisse, di fantascienza silenziosa e scarna.
Perché sono innumerevoli le immagini altre che vengono evocate: le orbite vuote delle orate, sventrate da gabbiani famelici; la malattia dell’acqua, che si fa sempre più torbida; ecatombe di pesci morti ancor prima di nascere; i gesti spenti dei pescatori, che vivono in un passato idealizzato, non avendo più forze di affrontare un presente. È ancor più inquietante, quindi, che in realtà sia tutto reale, o quasi. La Sgarbi, nel primo film, Per soli uomini, osserva in silenzio l’immobilità della vita di tre pescatori/allevatori, non limitandosi a registrare lo scorrere (inesistente) del tempo, ma costruendo in sede di montaggio un dialogo tra gli uomini e l’ambiente circostante, luogo d’amoreodio da cui pare impossibile sottrarsi, per loro che in quelle acque si bagnano da una vita. E l’unico movimento vitale è solo illusorio: l’acqua cadavere, gelida e immobile, animata dal battito tormentato dei pesci. L’inquietudine viene in realtà spesso smorzata dall’utilizzo di musiche che poco o nulla riescono a dire alle immagini che accompagnano (e in effetti viene da chiedersi quale accompagnamento musicale sia appropriato per un simile paesaggio), marcando però quei momenti di non-intrusione in cui il rumore terrificante
Più che gli uomini, i pesci, o l’acqua, in finale sembrano invece essere le reti dei pescatori il vero protagonista di questo piccolo ritratto filmico. Reti formate da infinite maglie, che inglobano e catturano questo microcosmo dolorante, l’acqua fin dentro le ossa, nel tentativo di trattenere qualcosa, qualsiasi, dal continuo fluire di un tempo che avanza impetuoso e lascia, dietro di sé, solo detriti di epoche migliori.