FESTIVAL GOEAST DI WIESBADEN. RealAvantGarde – retrospettiva sulla LenFilm (prima parte)


Leggendario studio cinematografico pietroburghese, autentica memoria vivente del ventesimo secolo, la LenFilm viene esplorata con una quindicina di sue opere lungo sette decenni di storia sovietica. Una selezione magistrale nella sua sintesi, nell'articolazione dei rapporti tra i singoli film e tra quelli e la più ampia cornice della Storia. Da Fridrikh Ermler a L'uomo anfibio…

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È con lodevole coraggio (lo sottolineano da subito i curatori stessi della rassegna) che GoEast, festival di Wiesbaden dedicato al cinema dell'Europa dell'Est, ha accettato di ospitare RealAvantGarde – Insieme alla LenFilm, attraverso il breve ventesimo secolo. Si tratta, infatti, di un'iniziativa di robuste ambizioni – e dall'esito maiuscolo. Una retrospettiva che esige per se stessa quella che dovrebbe essere un'ovvia condizione di base del lavoro curatoriale, ma che oggi viene troppo spesso trascurata: la stretta inseparabilità tra i film selezionati e quel valore aggiunto, difficile da individuare ma a tutti gli effetti decisivo, dato dal come i film vengono scelti, presentati, messi in condizione di interagire tanto tra loro quanto con la cornice socio-storico-politica di appartenenza.
Al centro c'è la LenFilm, leggendario studio pietroburghese che ha attraversato il cinema sovietico (quantomeno) del secolo scorso da glorioso, indiscusso CO-protagonista. Eh già, perché il protagonista non poteva che essere la Mosfilm, lo studio moscovita piazzato al centro dell'impero. Tale gregarietà, però, lungi dal risultare un limite, si è rivelata spesso un insostituibile punto di forza, la chiave stessa della sfuggente identità del colosso cinematografico di Leningrado. Allineato al potere, certo – eccome. Ma nondimeno passibile di farsi attraversare da numerose tangenti centrifughe, eccentriche, contraddittorie. Si tratta pur sempre di un complesso produttivo (che assume il nome LenFilm nel 1934 – l'anno del loro celeberrimo Ciapaiev – dopo essere esistito di fatto già per molti anni con altri nomi) che ha assorbito in sé Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg, punte di diamante della FEKS ("Fabbrica dell'attore eccentrico", gruppo teatrale di avanguardia degli anni Venti) a cui si deve la trilogia di Maksim, eroe popolare di smisurato successo di pubblico, pietra miliare di svariati decenni di immaginario sovietico. A Wiesbaden è stata riproposta La giovinezza di Maksim (Yunost Maksima, 1934), che mostra bene quanto della pulizia grafica, dell'antipsicologismo e delle brusche virate microdrammaturgiche della FEKS sia rimasto in quell'opera così efficacemente "accessibile".

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Uno dei propositi di Olaf Moeller e Barbara Wurm, curatori della rassegna (e parte di quella "Ferroni Brigade" che chi frequenta Mubi.com conosce bene) è appunto quello di smontare contrapposizioni semplicistiche come quella tra il Realismo Socialista da una parte, e l'avanguardia dall'altra – ecco perché RealAvantGarde. L'aggettivo "socialista" affiancato a "realismo" è ben lontano dall'esaurire il particolarissimo, per certi versi inesplorato realismo della LenFilm, così incline a farsi attraversare da spinte avanguardistiche che dobbiamo re-imparare a riconoscere. Il quadro è, inevitabilmente, ben più complesso di quanto le Storie del Cinema possano farci credere; è necessario quindi non solo rifiutare la doxa che tutto sia già stato detto, visto e classificato, non solo spendersi per portare alla luce le innumerevoli zone opache, oscure, sconosciute, dimenticate della storia della cinema, ma anche rifiutare di accontentarsi dell'esaltazione del marginale in sé e per sé e dell'indulgere nel culto di ciò che è in ombra, cercare invece e alimentare la tensione tra il dettaglio a margine (il film "riscoperto") e la cornice da cui dovrebbe essere avulso, ribaltare questo rapporto, ritrovare le vie molteplici di interazione sanamente conflittuale che esso intrattiene con la Storia passata, presente e futura.
La LenFilm è particolarmente adatta a una sfida del genere. Accanto a Fridrikh Ermler, unico membro dello studio a essere anche membro del Partito, voce Ufficiale dell'establishment sovietico quant'altre mai, poteva benissimo convivere (quantomeno prima della Guerra e del devastante assedio della città) una specie di "cinema parallelo" (l'espressione è di Peter Bagrev): un distaccamento guidato dal geniale Mikhail Tsekhanovskiy che ha prodotto decine di perle di sperimentalismo di animazione (purtroppo in gran parte perdute – ma non tutte: a Wiesbaden si è vista una decina di reperti).

Ma è su Ermler che è necessario soffermarsi ulteriormente. Un gigante. Assoluto. Tutt'altro che sconosciuto, certo, ma ben lontano dal riconoscimento che gli è dovuto. Probabilmente perché figura di primissima linea del Sistema spettacolare sovietico, esponente allineatissimo – ciò che non toglie, tuttavia, che una miriade di spinte contraddittorie arrivino a complicare il quadro. Si pensi a Oblomok imperii (Frammento dell'impero, 1929), storia di un soldato zarista che si riprende da un'amnesia durata anni nel bel mezzo del nuovo corso socialista, sconvolgente capolavoro che osa immergersi (già allora!) nella spinosa questione della continuità/discontinuità tra presente comunista e passato zarista traendone un'ottimista linfa vitale solo dopo aver attraversato dolorosamente una sfilza infinita di eterogeneità – anche stilistiche: nel giro di mezz'ora si passa dal lirismo bellico sfrenato alla "Verfemdung applicata" delle sequenze della rimemorazione piene di immagini mentali e sperimentalismi di montaggio, al documentarismo dell'arrivo del protagonista a Leningrado. Senza dimenticare i corposi echi espressionisti. Di tutta questa linfa amara ma vitale, di questo arduo ottimismo, non c'è più traccia nell'ancora più arrovellato Pered sudom istorii (Davanti al giudizio della Storia, 1965), passeggiata semidocumentaria per Leningrado con Vasiliy Shulgin, ex zarista cacciato via nel 1917 e che ora torna per vedere una situazione molto meno idilliaca di quella che "gli altri" gli dicevano avrebbe lasciato. Il gioco di specchi tra Ermler e il "nemico" Shulgin diventa a dir poco incandescente. Una pellicola all'apparenza placida, ma che appena vista da vicino rivela i segni di quel groviglio di contraddizioni che è la Storia.
La quale è sempre ben ravvisabile nella rosa di opere presentata a Wiesbaden. Anche quando traluce indirettamente attraverso quel filtro sempre vitale che sono i generi – e la LenFilm, sui generi, ha prosperato per decenni: essi fornivano senza dubbio il sostrato "materiale" inalienabile del cinema che da essa usciva. Basti pensare a Chelovek-Amfibiya (L'uomo anfibio, 1961, Gennadiy Kazanskiy e Vladimir Chebotarev), fantascienza sottomarina (baciata da un immenso successo di cassetta) ravvivata da una variopinta ambientazione spagnoleggiante: dietro l'amore impossibile tra un jackarnoldiano uomo-pesce (figlio di uno scienziato) e una bella popolana c'è tutta la dolente utopia di riconciliazione tra una Scienza potente ma inevitabilmente separata e una Società da essa irrimediabilmente lontana (salvo ricorrendo alle scorciatoie del capitalismo, ovviamente fuori questione).

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