FESTIVAL INTERNAZIONALE DEI CIRCOLI DEL CINEMA – I fantasmi della libertà e della visionarietà…

La settima edizione del Festival ritorna, dopo un anno a Pizzo Calabro, alla sede originaria di Reggio Calabria. Al Cinema Aurora, oltre al programma dedicato quest'anno alla produzione più recente della cinematografia croata e serbo-montenegrina , aleggiano due figure mitologiche: Don Chisciotte e Jean Vigo…

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Verrebbe da parafrasare l'unico film sbagliato, perché mai realizzato (o meglio indesiderato) di Massimo Troisi: Scusate l'anticipo… Per il Festival della FICC, che l'amministrazione comunale reggina (di destra) sarebbe pronta a scaricare perché troppo di sinistra, e per Jean Vigo e Don Chisciotte, troppo avanti nella visone, nell'utopia, nel coraggio, il titolo suonerebbe probabilmente eccessivamente consolatorio. Paolo Minuto (Presidente della Federazione italiana dei Circoli del Cinema e Vice Presidente della  Federazione Internazionale della FICC) è stato categorico nella serata inaugurale della manifestazione, confermando i gravi ritardi finanziari che ormai attanagliano l'evento e di voler fare il possibile (ma non l'impossibile) perché il Festival non lasci il capoluogo calabrese. Proprio quest'anno, quando al Cinema Aurora, oltre alle numerose delegazioni internazionali sempre presenti, ci sono stati ritorni storici dal Burkina Faso e soprattutto da Cuba, a dimostrazione che il Festival è più che mai vivo. L'edizione 2005 è ancora più ricca e articolata degli anni passati grazie all'avvio del "Progetto Cinema dei Balcani" con le produzioni ultime della cinematografia croata e serbo-montenegrina, progetto che intende contribuire al recupero, alla conservazione, alla riscoperta ed alla valorizzazione di una parte fondamentale del patrimonio culturale dei Paesi martoriati da una guerra ancora fumante. Non manca la consueta e interessantissima sezione "Sebastiano Di Marco", curata dal "Circolo Zavattini" di Reggio Calabria: "Sguardo rivolto – dice Tonino De Pace – ai fenomeni politico sociali crescenti, in un tentativo di presa diretta sulla realtà che soggiace più che a pulsioni narrativo/cronachistiche di derivazione giornalistica, alla necessità di un occhio su una realtà in continua mutazione". Allora si passa dal documentario di Giuseppe Gaudino e Isabella Sandri, Maquillas, terrificante spaccato della frontiera messicana con gli Stati di Uniti, in cui i diritti umani sono assolutamente inesistenti, fino ad arrivare a Ritratto di Pablo Volta, di Giovanni Columbu, viaggio nella Sardegna più nascosta e dimenticata di un fotografo argentino, alla riscoperta della natura e del degrado del paesaggio urbano isolano. Pensare globalmente, agire localmente è lo spirito che spinge ad andare avanti, proprio come hanno fatto Don Chisciotte quattrocento anni fa (sabato ci sarà una tavola rotonda sul romanzo) e Jean Vigo, di cui ricorre il centenario della nascita e per l'occasione è a lui dedicata la retrospettiva degli unici quattro film realizzati prima della scomparsa a soli ventinove anni. Jean Vigo come il cavaliere errante, e come probabilmente gli "zero in condotta" che organizzano questo festival, cercava un'immagine d'amore sul fondo del fiume sotto l'Atalante, cercava di sfuggire al labirinto delle proprie immagini nel tempo: questo è la visione degli ultracorpi, dei mulini a vento, derivazione improvvisa delle immagini in una tempesta di atomi visivi, sospensione del giudizio, per cui tutto ciò che si vede appare anche come recitato e agito dai corpi semoventi, consegnato a un'estasi fatale.

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Nei voli mentali e fisici, nelle impossibili performance dei grandi visionari, agisce la furia di non riuscire a vedere la cosa o le cose ultime, di non riuscire a fermarsi, e insieme la voluttà obbligata di non trovare mai nulla su cui fissarsi, di cercar di mantenere una libertà di visione sempre ipotetiche e ulteriori. Come se uno "spirito dell'immaginario" tentasse di aleggiare oltre gli oggetti, attraverso gli schermi, senza i condizionamenti del set. Jean Vigo e Cervantes (e forse Sancho) hanno inventato le più belle sovrimpressioni della storia del cinema e della letteratura: un uomo sott'acqua sogna e vede realmente la donna che vuole amare, un uomo sul ciuco sogna chi sogna ad occhi aperti. Don Chisciotte e Jean Vigo sublimano proprio la lotta del cinema e della visionarietà contro la morte dentro la morte, riscoprendo la sovrimpressione come atto d'amore tra immagini e parole. E perché la lieta fine non è lieta e non è fine… A Reggio Calabria il cinema e la scrittura riconquistano la qualità fragile di essere sempre, esattamente di quel tempo, un po' fuoritempo, un po' fantasma, un po' memoria omaggio di altre inquadrature di altre avventure impossibili, e altri gesti mille volte visti quasi uguali. Il cinema e la parola come generazioni ulteriori e continue (o contigue), come fantasmi intermedi (come Sancho) e ormai eterni, di ogni (ri)generazione.        

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