FESTIVAL – Pool, Brando e Waters: il G & L Festival di Torino cala subito il tris d'assi

E' in corso la XX edizione del Festival Internazionale di Film con Tematiche Omosessuali di Torino, una manifestazione che negli anni ha saputo crescere e imporsi all'attenzione del pubblico. Inizio col botto, tra omaggi a Lea Pool e Marlon Brando e il trionfo di John Waters con l'anteprima di “A Dirty Shame”.

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Giovedi 21 aprile ha preso il via la XX edizione del Festival Intenazionale di Film con Tematiche Omosessuali di Torino, diretto da Giovanni Minerba. Vent'anni vissuti pericolosamente, come ama affermare lo stesso Minerba, che hanno gradualmente, con idee, passione e coraggio, saputo superate tutte le barriere ideologiche per porre questo Festival in un ruolo di assoluto rilievo nel panorama torinese e nella scena internazionale delle manifestazioni dedicate al pubblico omosessuale.

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Programma ampio e accattivante, in questa edizione: 12 lungometraggi, 17 corti, 11 documentari e 10 video a comporre le 4 categorie in concorso, decine di altri titoli da tutto il mondo tra fuori concorso e panoramiche, retrospettive dedicate a personaggi come John Waters, Lea Pool, Laura Betti, Giuni Russo, Marlon Brando, e omaggi all'amor estremo europeo, alle sperimentazioni francesi e alla casa di produzione Lucky Red, con titoli come Happy Together di Wong Kar-wai, Camere e Corridoi di Rose Troche, La Legge del Desiderio di Pedro Almodovar, Demoni e Dei di Bill Condon, Velvet Goldmine di Todd Haynes e Doom Generation di Gregg Araki.



La prima giornata del festival è iniziata con La Femme de l'Hotel, 1984, primo lungometraggio della regista franco-canadese Lea Pool, sempre più conosciuta a livello festivaliero anche in Italia, la cui integrale filmografia sarà proiettata nelle 8 giornate della manifestazione. Cinema soffuso e delicato, quello della Pool, in cui storie di donne fragili e confuse si alternano sullo schermo a costituire piccoli microcosmi di solitudine e incomunicabilità, silenzi ed allontanamenti, in un continuo viaggio alla ricerca di sé e del proprio ruolo sociale e morale. Cinema elegante e sussurrato, in cui il montaggio alternato conduce la rappresentazione filmica a concentrarsi su binari paralleli pronti a intersecarsi e poi fondersi nell'amicizia o nell'amore come fonte di riparo dai pericoli del mondo.


E' stata poi la volta di Riflessi in un occhio d'oro di John Huston, 1967, con Marlon Brando ed Elizabeth Taylor. Racconto di pulsioni segrete riparate dall'apparente rigidità di un campo militare, di un'omosessualità sanguigna e disperata, di narcisismi borghesi, di amori inconfessabili e di tradimenti dipinti in un sontuoso technicolor sfumato fino a sfiorare il bianco e nero, Riflessi in un occhio d'oro offre una delle migliori interpretazioni della carriera di Brando, personaggio oscuro e sconfitto da una debolezza sotto pelle capace di deflagrare oltre alla corazza da cui è inutilmente ricoperto, che l'attore interpreta magnificamente nel giustapporsi di stati d'animo variabili e suscettibili di perdita di controllo ad ogni emozione mal celata.


La serata ha visto sul palco del Teatro Nuovo di Torino la cerimonia d'apertura, appesantita da polemiche politiche banalmente fuori luogo e da ritardi sui tempi prestabiliti, ma salvata dal veemente e irrefrenabile umorismo della madrina Platinette, e dalla convincente esibizione, seppur penalizzata da una pessima acustica, dei Negramaro, band emergente del pop-rock italico. Dopo circa un'ora di show, in una sala gremita e multicolore, è salito sul palco John Waters, il re del thrash, da quarant'anni paladino di un cinema di protesta contro le convenzioni sessuali della fredda borghesia. Il regista di Baltimora, i cui film precedenti sono stati più volte proiettati nelle scorse edizioni del festival, è stato accolto da un'autentica ovazione da parte della folla, e da quel momento la serata si è trasformata in un omaggio senza fine a un autore che ha saputo costruirsi un vero e proprio alone di culto attorno a sé, elevando il cattivo gusto e la sessomania ad elementi fondanti di un'idea di mondo e di cinema pronta a sfidare ed abbattere qualsiasi barriera sociale.


Il trionfo di Waters ha poi avuto il culmine nella proiezione in anteprima italiana del suo nuovo lavoro, A Dirty Shame, in cui Sylvia Stickles (una scatenata Tracey Ullman), cassiera repressa con figlia super-dotata e madre moralista, in seguito ad una botta in testa si trasforma in una ninfomane senza limiti, entrando a far parte di una setta di sex addicts guidata da Ray-Ray Perkins, sorta di Messia della liberazione genitale. Durante il film si sviluppa la lotta di quartiere tra libertini e bigotti, e il risultato è un profluvio di provocazioni ideologiche e visive, una demenzialità irrefrenabile, un'estetica del sesso a metà strada tra Russ Meyer, Pasolini e la follia di Tromaville, e perfino omaggi alla sci-fi e a George Romero. Sicuramente imperdibile per tutti i seguaci di Waters, A Dirty Shame ha mandato letteralmente il delirio il pubblico torinese, creando in sala, tra risate, schiamazzi, urla ed applausi spontanei nelle scene migliori, un clima da matinée anni '50, quando il cinema era davvero una magica esperienza di svago e di fuga dalla realtà. Il Papa del thrash, l'autore di Multiple Maniacs, Pink Flamingos, Female Trouble, Grasso è Bello, La Signora Ammazzatutti e A Morte Hollywood è tornato, più irriverente che mai, a descriverci l'America contemporanea meglio di qualunque manuale di sociologia e di qualunque salotto politico.

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