FILM IN TV – Anna, di Alberto Lattuada

Apologo di emancipazione femminile solidamente costruita secondo le regole drammaturgiche del genere. Con Silvana Mangano, Raf Vallone e Vittorio Gassman. Sabato 7 novembre, ore 8.00, Rai 3

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Potrebbe essere solo un classico melodramma dell’amor sacro e dell’amor profano, ma Anna, pellicola di record commerciali per Alberto Lattuada – primo film italiano a incassare oltre un miliardo di lire sul mercato nazionale e con distribuzione Usa – è forse, soprattutto, un apologo di emancipazione femminile attraverso il ritratto, e i dilemmi, di una suora ospedaliera.

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A darle intensità iconografica il corpo (nascosto/sinuoso) e il volto (attonito/ammiccante) di Silvana Mangano che interpreta Anna, religiosa sul punto di prendere i voti quando il passato – un ex fidanzato (Raf Vallone) frequentato lavorando come ballerina di night – fa irruzione in corsia tra i ricoveri d’urgenza. Il primo flash back – con il mambo di Anna/Silvana tra i neri – è un piccolo condensato di cinefilia: citato in Caro diario da Nanni Moretti “fissato” di musical – l’esilarante sequenza in cui tenta di imitare la danza di Anna proiettata sul televisore di un bar – e già da Giuseppe Tornatore in Nuovo Cinema Paradiso (dove il film di Lattuada inaugura la nuova vita della sala dopo l’incendio), la scena in realtà ripropone, a due anni di distanza, quella ancora più sensuale della mondina che balla in Riso amaro ed è a sua volta riproposta, tre anni dopo, dentro la coreografia più tecnica e ingessata del Mambo di Rossen.

silvana mangano e raf vallone in annaStessa protagonista, dal 1949 al 1954, Silvana Mangano. Stessa coppia attoriale (per la presenza di Vittorio Gassman), anzi terna visto che Lattuada scommette in Anna su alcuni ingredienti mutuati dalla fortunata opera di De Santis, a cominciare dal triangolo sentimentale Vallone/ Gassman/ Mangano. E se in entrambi i lavori – Riso amaro e Anna – Vallone e Gassman incarnano le due facce dell’amore “sano” (Vallone) e della passione “insana” (Gassman), a evitare l’avvitamento sui cliché (del resto inevitabili in un’opera come Anna solidamente costruita secondo le regole drammaturgiche del genere) c’è soprattutto l’interpretazione di Gassman, compiuto uomo della perdizione e della caduta. C’è anche la scelta di una rigorosa psicologia musicale e visiva: inscindibile il passato notturno di Anna cantante e ballerina dai popolari temi Non Dimenticar ed El Negro Zumbón (il mambo amato da Moretti), come i dilemmi morali di Suor Anna dal bianco e nero, fortemente contrastato e impressionistico delle inquadrature (oscure) della passione, o dal passaggio dalle radiose architetture esterne del Niguarda, dentro i campi lunghissimi di apertura, alla luminosità più modesta delle sale di degenza.

Tornare indietro, ad una ancora possibile vita coniugale, o restare a lavorare tra i malati è il bivio principale, che si riflette e giustifica, malgrado l’ovvietà – melo – della trama, in altri dualismi di genere: amore e morte (di Gassman, la cui analoga fine in Riso Amaro ha però un taglio più marcatamente espressionistico e spettacolare, a partire dall’ambientazione in un macello); sacrificio estremo e appagamento; erotismo/liberazione sessuale e negazione/nascondimento del corpo (tema erotico ricorrente, con vari registri, in Lattuada dal dramma verghiano de La lupa alla commedia grottesca Venga a prendere un caffè da noi).

silvana mangano, raf vallone e vittorio gassman in annaLo scioglimento ha a che vedere più con le ragioni di una donna che si emancipa – nel corpo erotizzato del passato come nel corpo “professionale” del presente – che con Dio e la fede. E mette capo ad una vera e propria dichiarazione (registica) di intenti attraverso l’ultimo dialogo di Anna col primario dell’ospedale (quasi alter ego dell’autore): “Se fossi costretto a ritirarmi per sempre, sento che non resisterei. Sa quali sono le persone che mi interessano di più e amo veramente? Sono gli sconosciuti che arrivano qua… e poi dopo qualche tempo se ne vanno senza conoscerci e senza dirci grazie”. Come dire, quel che resta (in Lattuada) del neorealismo (dopo il bandito e l’avvicinamento fallimentare a Fellini con Luci di varietà) in salsa di romanzo popolare. Adesione ad un paesaggio umano di marginalità (la poetica ancora neorealistica degli “sconosciuti”) che non prende forza più dalla fotografia espressionistica del dopo-guerra di macerie de Il bandito, ma riverbera nell’umbratile atmosfera di una piazza Duomo milanese, incipit temporale dell’opera, come nel clima interiore di una donna tormentata – oltre l’apparente dissidio Dio/mondo – tra dipendenza coniugale e vita “attiva”. Così l’atto ostentatamente melodrammatico – e definitivo – della rinuncia non si giocherà (giustificherà) sull’altare conservatore della vocazione religiosa, ma su quello della realizzazione professionale. Come suora infermiera.

Regia: Alberto Lattuada

Interpreti: Silvana Mangano, Raf Vallone, Vittorio Gassman, Faby Morlay

Durata: 105′

Origine: Italia 1952

Genere: drammatico

Sabato 7 novembre, ore 8.00, Rai 3

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