FILM IN TV – Il buco, di Jacques Becker

il buco

Tratto dal romanzo autobiografico di José Giovanni Le trou, l’ultimo film di Jacques Becker è anche il più materico del regista: il ferro dei martelli, calcinacci, travi di legno utilizzate come ponti, sbarre di ferro da segare, assi del pavimento divelte, scatole di cartone per coprire il buco…La materia come ultimo e disperato appiglio alla libertà e alla vita. Mercoledì 19 novembre, ore 15.55, Rai 5

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il bucoTratto dal romanzo autobiografico di José Giovanni Le trou, l’ultimo film del grande regista francese dopo un breve prologo ci porta immediatamente nel vivo della vicenda, mostrandoci un giovane accusato del tentato omicidio della moglie che viene trasferito da un reparto in ristrutturazione in una nuova cella in compagnia di quattro detenuti in attesa di giudizio…

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Quando si parla di “cinema da camera”, paradossalmente, di rado vengono in mente film carcerari. Forse perché istintivamente si è portati a pensare a Hollywood, che vanta una lunghissima tradizione di film altamente spettacolari –  o quantomeno sopra le righe – fin dalla sua epoca d’oro, si pensi al finale di Forza bruta di Dassin o alle potenti scene di massa di Rivolta al blocco 11 di Don Siegel.
Le intenzioni di Becker sono chiarissime già a partire dalle scelte stilistiche: la musica, titoli a parte, è completamente abolita; l’accompagnamento sonoro è costituito esclusivamente dai rumori reali del carcere e da quelli metallici scaturiti dall’opera di scavo del tunnel da parte dei protagonisti.

il bucoInoltre la tecnica di ripresa, tramite inquadrature fisse, acuisce il senso di claustrofobia dello spettatore che riesce a calarsi perfettamente nei panni dei protagonisti anche grazie al profondo umanesimo del regista; non sappiamo di preciso di cosa siano accusati i personaggi ma sappiamo che quasi certamente nessuno di loro è innocente.
Tuttavia è impossibile non provare empatia per i cinque detenuti che, rincorrendo poeticamente un sogno di libertà (destinato a trasformarsi in utopia), mettono a frutto il loro straordinario ingegno per eludere la sorveglianza di un potere troppo grande, destinato a schiacciarli comunque. L’individualismo che era alla base di Un condannato a morte è fuggito di Bresson lascia quindi il posto ad una logica cameratesca che domina le azioni dei protagonisti, uniti dalle vicissitudini e pronti a sacrificarsi per i compagni di cella.

Lo straordinario realismo di Becker trasforma le lunghe sequenze di azioni reiterate meccanicamente (che qualsiasi altro regista avrebbe reso soporifere) in un allucinato saggio di sapienza registica: la tensione è sempre palpabile e resa ancor più insostenibile dallo sguardo distaccato del regista, privo di enfasi e facili spettacolarizzazioni anche nei momenti più drammatici, fino all’amaro finale che riporta bruscamente lo spettatore alla realtà, disintegrando il sogno di fuga e di libertà dei protagonisti.
E’ anche, inevitabilmente, il film più materico di un regista malato e ormai prossimo alla fine (che sarebbe avvenuta poco dopo la fine delle riprese): il ferro dei martelli, calcinacci, travi di legno utilizzate come ponti, sbarre di ferro da segare, assi del pavimento divelte, scatole di cartone per coprire il buco…La materia come ultimo e disperato appiglio alla libertà e alla vita.

 

Titolo originale: Le trou
Regia: Jacques Becker
Interpreti: Philippe Leroy, Jean Keraudy, Marc Michel, Raymond Meunier, Michel Constantin
Durata: 132'
Origine: Francia/Italia

 

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