La balia, di Marco Bellocchio

Un film carico di complesse e preziose sfumature e di una sotterranea tensione psicologica. il cinema di Marco Bellocchio sembra riaprire le ali e riprendere il volo.

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L’intervento di scrittura che Marco Bellocchio e Daniela Ceselli fanno sul testo pirandelliano ha consentito di conservare la struttura narrativa attualizzandone i contenuti e rendendoli universali. Il lavoro di spoliazione dal racconto di ogni cascame un po’ provinciale dai toni occasionalmente macchiettistici, gli restituisce una ricercata e sotterranea tensione psicologica, elemento del tutto assente nella novella di Pirandello.
Rivolgendoci quindi al testo del drammaturgo siciliano al solo scopo di ritrovare quel filo esile che lega l’idea originale del racconto con il film del 1999, riteniamo che il lavoro di scrittura e di regia abbia valorizzato il testo e attribuito qualità segrete, forse annidate, ma non manifeste nella novella.
Nella Roma dei primi del ‘900, con sullo sfondo i sussulti di un socialismo ancora acerbo, il prof. Mori (Fabrizio Bentivoglio) è uno psichiatra che conduce una vita molto agiata con la moglie Vittoria (Valeria Bruni Tedeschi). Ma Vittoria, da poco madre, non può allattare il figlio. Il marito decide di assumere come balia Annetta (Maya Sansa). Questo allontanerà ancora di più Vittoria dalla famiglia.
Con La balia Bellocchio torna, definitivamente, dopo la intensa parentesi durante la quale il suo cinema fu segnato e fortemente caratterizzato dagli insegnamenti della psicoanalisi, a modalità narrative in cui quelle conoscenze, pur costituendo un sostrato essenziale del proprio lavoro, permeandone il risultato, non ne assorbono per intero i contenuti. Quel cinema che destava comunque interesse, risultava a tratti estraniato da ogni contingenza immediata, pur restando ancorato ad una stretta attualità. Con Il principe di Homburg la parentesi si chiude e con La balia il cinema di Marco Bellocchio sembra riaprire le ali e riprendere il volo.
Quello che si è provato a porre in evidenza è che La balia, differentemente dal potere essere classificato come un film che banalmente si occupa di ritrarre un’epoca o una semplice crisi familiare, diventa piuttosto una indagine sui rapporti familiari. Strappi e lacerazioni, qui silenziose e quasi sussurrate. L’aggravarsi di queste tensioni avviene all’arrivo di Annetta, soggetto estraneo che cristallizza definitivamente il distacco della coppia. Tutto accade perché l’uomo (Mori) è combattuto tra spinte progressiste e un innato perbenismo che lo rende distaccato da ogni urgenza della moglie che possa modificare la sua vita regolare e perché la donna (Vittoria) si sente inadatta alle responsabilità e non aiutata dal marito a superare quelle incertezze, anzi quest’ultimo la opprime ulteriormente quando la solleva completamente da ogni incarico di madre.
L’arrivo del figlio e il progressivo distacco dalla moglie e una sorta di solidarietà sotterranea che Ennio Mori ritrova con la giovane e sensibile balia, sembrano destabilizzare il suo mondo. Ma nonostante questa attenzione verso il personaggio maschile, il film di Bellocchio rivolge la sua maggiore attenzione al personaggio femminile, ai personaggi femminili e il film offre una galleria di queste figure davvero notevole. A partire da Annetta, la balia, vera donna della modernità alla ricerca di una propria precisa identità, Maddalena la bella paziente dell’Ospedale dove il prof. Mori lavora, divisa tra l’amore appassionato per il giovane medico (Pier Giorgio Bellocchio) e la decisa passione politica, una vera pasionaria in piena luce e per finire Vittoria la moglie di Mori, madre perplessa del proprio ruolo. Vittoria è il centro dell’indagine di Bellocchio, quella che rappresenta la vera figura patologica del racconto. Da questa patologia che le pone imponenti dubbi sulla propria maternità, nasce la ricerca del film che sembra depistare su tracce che potrebbero portare ad un amore adultero tra Mori e Annetta e che, invece, ritorna, con paziente insistenza sull’assenza materna che diventa il leit motiv del film se associata anche all’altra assenza, quella di Annetta nei confronti del proprio figlio. Ma le responsabilità di questa assenza di Vittoria non vanno ascritte esclusivamente a lei, ma, almeno in eguale misura, condivise con il marito, incapace di cogliere il dramma esistenziale della moglie e di finire con l’alimentarlo con l’arrivo della giovane donna che si occuperà, in vece sua, del bambino.
La malattia quasi segreta di Vittoria che diventa rifiuto mai urlato di ogni condizione di donna madre e donna moglie, facendola abdicare completamente ad ogni pretesa anche maritale, quasi attendendo la dichiarazione del marito che gli comunichi del suo innamoramento per Annetta, diventa il tema dominante e taciuto del film. Il racconto, che si sviluppa attorno al progressivo avvicinamento di Ennio Mori ad Annetta che avviene anche attraverso lo sfiorarsi dell’insegnamento del leggere e scrivere, si appoggia intermente su questo allontanamento di Vittoria da ogni incombenza e dalla consegna, implicita, di ogni responsabilità nei confronti del figlio e del marito alla giovane donna.
Valeria Bruni Tedeschi conferisce a questo personaggio la grazia necessaria a farne una donna al passo con una modernità ormai irrinunciabile e con quel sottile masochismo che comprime ogni amor proprio che sembra costituire parte essenziale della segreta natura femminile. Non è detto, ma nel film è scritto tra le righe delle incertezze nelle quali viene colto il professor Mori – al quale Bentivoglio restituisce, quasi naturalmente, ogni perplessità – nel suo modo d’agire, il riconoscimento della segreta colpa di non avere compreso il male del vivere di Vittoria.

Il vero personaggio destabilizzante è Annetta, la giovane e bella balia che, costretta per necessità accetta il lavoro, ma il suo pensiero è al figlio coetaneo del bambino di Mori. Nel racconto il figlio della ragazza muore e il marito, capopopolo socialista attribuisce a lei ogni colpa. Qui, nel film, Annetta trova, invece, il tempo e il modo di curare anche suo figlio. L’esordio di Maya Sansa è discreto nella gentile sensibilità che sa dimostrare nel ruolo, non semplice, di giovane popolana impreparata alla vita della città, consapevole dei propri limiti, ma decisa ad ogni costo a superarli.
La balia si afferma così come un film carico di complesse e preziose sfumature che riflettono il sostanziale profilo psicologico che costituisce la più autentica natura del cinema di Bellocchio che ha sempre avuto attenzione per le pieghe invisibili degli animi umani e il suo cinema essenzialmente di corpi e anime malate qui, pur nella penombra della bella e austera casa del prof. Mori, sembra risplendere di una vita ritrovata.

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Regia: Marco Bellocchio
Interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Maya Sansa, Per Giorgio Bellocchio
Durata: 106’
Origine: Italia, 1999
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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