La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo

Un film anomalo all’interno del panorama cinematografico italiano, di grande e raffinato rigore stilistico e di sfavillante bellezza estetica.

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Tentai la carta dell’autenticità, rifiutando ogni “effetto cinematografico”, cercando invece di dare allo spettatore la sensazione di essere presente, di vivere la storia di quel momento.
Da queste parole di Gillo Pontecorvo si coglie il senso profondo dell’operazione condotta dallo stesso regista e dal suo sceneggiatore Franco Solinas. La battaglia d’Algeri (1966) è sicuramente l’apice della carriera di Gillo Pontecorvo, uomo che ha dedicato al cinema tutta la vita pur avendo girato pochi film di fiction, molti più documentari, ma essendosi occupato di scrittura di sceneggiature e dirigendo dal 1992 al 1996 la Mostra del Cinema di Venezia.
La battaglia di Algeri è un film che sembra rompere i canoni del cinema narrativo, alterando quelli del cinema documentaristico, trovando nel perfetto equilibrio delle forme e anche grazie ad un montaggio povero e veloce, quella immediatezza alla quale aspirava il suo autore, quella attualità che si traduce in stretto rapporto tra l’accaduto e il girato che il pubblico ha da subito colto e apprezzato.
La sua coralità fa sfuggire il tema del protagonismo della vicenda ed è dentro una città a tratti

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La battaglia di Algeri, 1966

misteriosa che si svolge gran parte della storia, che abbraccia gli anni che vanno dal 1954 al 3 luglio 1962 data nella quale l’Algeria si libera della status di colonia per diventare un Paese libero. La storia prende avvio dalla morte di Alì La Pointe il comandante del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) che morirà, insieme a due suoi giovanissimi seguaci, dentro il suo nascondiglio fatto saltare in aria dalle truppe francesi. Il flashback ci racconterà del giovane La Pointe e del mutamento della sua condizione, del giovane delinquente che prende coscienza dopo avere assistito, in carcere, alla esecuzione capitale di un prigioniero politico. Da quel momento il suo ingresso nel FLN di cui diverrà leader nel volgere di breve tempo. La scrittura è stata frutto di lunghe e appassionate ricerche da parte del suo regista e del suo sceneggiatore. Sono stati consultati materiali d’epoca sui luoghi, sono stati tratti spunti sia dalle riviste che hanno raccontato i fatti, ma anche dai verbali della polizia che raccontavano i fatti da un’altra ottica. Ne è nato un film che sebbene interpretato da attori non professionisti, ha perfettamente conservato l’andamento serrato e nervoso che si sviluppa all’interno della sua anomala struttura che però riesce a dare conto dell’evolversi della storia, della guerra di logoramento che si articolava dentro la città algerina, negli angusti vicoli della casbah e nei suoi quartieri più distanti. Pontecorvo accompagna l’evolversi progressivo del conflitto, che esplode in improvvise accelerazioni per ritornare spesso ad un silenzio inquietante, con un

La battaglia di Algeri

lavoro meticoloso che svolge anche sul set. Il suo film, che restituisce nel bianco e nero dell’epoca il sapore del reportage, è stato realizzato senza alcuna fonte diretta di luce naturale, l’immagine ovattata nelle tonalità del grigio è stata ottenuta, soprattutto nei vicoli della misteriosa casbah, stendendo teloni per offuscare la luce diretta del sole e il senso di quella attualità così percepibile nel film risulta perfettamente resa dalla cinepresa a mano che è stata utilizzata per le riprese.
Non vi è dubbio che si tratti di un’opera politicamente schierata che tradisce la condivisione di teorie terzomondiste di ispirazione marxista che appartenevano certamente alla cultura politica e sociale del suo autore, ma è altrettanto vero che il film non è assolutamente di parte e riesce a raccontare con sufficiente equilibrio i fatti anche dall’ottica dei colonizzatori pur nella spavalda sicurezza ostentata dal colonnello Philippe Mathieu (Jean Martin).

La critica accolse bene il film che vinse tra l’altro, nello stesso anno della sua uscita, il Leone d’oro alla Mostra di Venezia, ricevette tre nomination all’Oscar ma non riuscì ad aggiudicarsene nessuno. Nonostante queste positive accoglienze ci fu chi contestò la presunta superficialità con cui i fatti erano stati raccontati. Ma il suo controverso contenuto ne ha osteggiato la diffusione in Francia dove il film fu incredibilmente vietato fino al 1971.

La battaglia di Algeri, Gillo Pontecorvo

Oggi a quarant’anni di distanza dalla sua uscita, il film, rivisto alla luce dei nostri giorni non ci pare abbia perso alcuna freschezza narrativa e soprattutto si presenti come un’opera positivamente anomala all’interno del panorama cinematografico italiano. Un cinema in cui appaiono fruttuose le forti contaminazioni tra il registro palesemente narrativo della fiction classica e quello eminentemente descrittivo del cinema non fiction. In questo straordinario equilibrio visivo si riafferma la sua forza, la cui anomalia non stanca di stupire e la cui sfavillante bellezza estetica non smette di affascinare. Gillo Pontecorvo ci ha lasciato un’opera di grande e raffinato valore che ricompone dentro le sue immagini il suo rigore stilistico e che trova in quella struttura composita il respiro della storia e la grande bellezza di un cinema straordinariamente vivo che non sembra potere concludere la propria vicenda artistica esclusivamente su uno schermo.

 

Leone d’oro al Festival di Venezia del 1966

 

Regia: Gillo Pontecorvo
Interpreti: Brahim Haggiag, Jean Martin, Yacef Saadi, Tommaso Neri
Durata: 120′
Origine: Italia 1966
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (2 voti)
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