La guerra dei Roses, di Danny De Vito

Una ‘black comedy’ che vira su un versante orrifico grazie al lavoro di realizzazione e scrittura che coniuga un cinema spettacolare e accattivante con un disilluso cinismo.

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Tutto parte da una sigaretta. Danny De Vito, regista e interprete di questo film del 1989, accentua e iperbolizza i toni di questa apparente commedia che, in realtà è una nerissima, cupissima e radicale tragedia sulla fine di una convivenza matrimoniale. Dicevamo che tutto nasce da una sigaretta quella che l’avvocato Gavin D’Amato (Danny De Vito) conservava in uno scrigno dopo avere smesso di fumare, come monito e sfida, ma che dopo la narrazione dei fatti verrà fumata con gran gusto. Sono Kathleen Turner e Michael Douglas i due protagonisti del film, che da un idilliaco rapporto passano ad una vera e propria guerra dichiarata, con tanto di progetti per la reciproca eliminazione.

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Conosciamo le ciniche visioni di Danny De Vito (Getta la mamma dal treno, Eliminate Smoochy, Matilda 6 mitica) regista e autore tutt’altro che banale che riesce a coniugare un cinema sempre molto spettacolare e accattivante, attraverso un lavoro profondo sulla scrittura, con il sano cinismo dei disillusi il che traduce i suoi film sempre in pezzi originali difficilmente catalogabili. Si prenda questo film. Sicuramente una black comedy, ma in fondo qualcosa di diverso nel momento in cui l’impianto da commedia fagocita il divertimento a favore di un capovolgimento del registro che vira, decisamente, su un versante orrifico e ciò avviene attraverso un lavoro di ricerca che si realizza a pieno proprio nel girato e nella messa in scena che vediamo sullo schermo. De Vito, infatti, spinge il piede sull’acceleratore per creare un vero e proprio climax servendosi di quei segnali che, tipicamente, appartengono non alla commedia, ma a quel cinema che, da Hitchcock in poi, ci ha catturato grazie ad una calibrata suspance. Cosicché La guerra dei Roses, il cui titolo è mutuato dalla guerra che per trent’anni è stata combattuta tra i Lancaster e gli York in Inghilterra tra il 1455 e il 1485, si trasforma in un esempio mirabile di cinema mutante, che resta per queste ragioni non immediatamente classificabile, attingendo, durante la propria originaria genesi, a più fonti tra loro diversissime e, a volte apparentemente inconciliabili. Non che horror e commedia non siano mai stati conciliati tra loro o che commedia e thriller non possano trovare un punto di comune incrocio, ma qui, con il lavoro di De Vito e quello preventivo fatto sulla scrittura, hanno permesso un utilizzo diremmo improprio delle loro finalità. È, infatti, solitamente, la commedia a prevalere su altre forme espressive utilizzate, specialmente se si parla di horror o di thriller o action movie. Si pensi ad alcune produzioni di Polanski che è un autore che ha molto lavorato su questo confine, o ai numerosi Die Hard, che sono costruiti proprio su questi principi. La guerra dei Roses, invece, da un iniziale canovaccio da commedia vira su un assunto profondamente cupo – continuando però a mantenerne alti i principi – irrimediabilmente cattivo dove la perfidia assume i toni grotteschi che esprimono, con esagerata consistenza, l’eterno scontro che trova origine nella diversità genetica tra uomo e donna. In altre parole De Vito innesta e rigenera diversamente da quanto avrebbe fatto, qualche anno dopo Robert Zemeckis con La morte ti fa bella (1992) un film con il quale si possono registrare delle forti affinità ma che, in fondo, diversamente, utilizza solo gli stili visivi dell’horror, su un impianto da black comedy che rimane inalterato fino alla fine.

 

Titolo originale: The War of the Roses
Regia: Danny De Vito
Interpreti: Danny De Vito, Michael Douglas, Kathleen Turner, Marianne Sagebrecht, Jack Palance
Durata: 116’
Origine: USA 1989
Genere: grottesco

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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