La mia Africa, di Sydney Pollack

La vita e le opere di Karen Blixen che passa tra Via col vento e Lawrence d’Arabia, Elia Kazan e Douglas Sirk. Vincitore di 7 Premi Oscar.

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“Chi di notte, dormendo, sogna, conosce un genere di felicità ignota al mondo della veglia: una placida estasi e un riposo del cuore che sono come il miele sulla lingua. Sa anche che la vera bellezza dei sogni è la loro atmosfera di libertà infinita: non la libertà del dittatore che vuole imporre la sua volontà, ma la libertà dell’artista privo di volontà, libero dal volere. Il piacere del vero sognatore non dipende dalla sostanza del sogno, ma da questo: tutto quello che accade nel sogno, non accade solo senza il suo intervento, ma fuori del suo controllo…” (Karen Blixen)

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C’era una volta in Africa. La dimensione del racconto romanzato che prevale sulla cronaca. L’operazione di Sydney Pollack sulla vita e i libri di Karen Blixen (autrice tra le altre cose de Il pranzo di Babette) è di dilatazione della parte sentimentale e di sintesi di quella socioculturale e storica. L’emancipazione della scrittrice danese (interpretata da Meryl Streep con un forte accento scandinavo) agli inizi del secolo passa attraverso il suo soggiorno in Kenya dove porta avanti una coltivazione di caffè e intreccia una importante relazione con l’inglese Denys Finch Hatton (Robert Redford), uno spirito libero che la introduce nella natura africana e le fa riscoprire la parte più primitiva, quella spesso soffocata da convenzioni e sovrastrutture.

la-mia-africa-meryl-streep-robert-redfordVivere d’arte, vivere d’amore. Pollack accosta due sensibilità accomunate dalla stessa voglia di non restare a terra, ma volare alto (stupende le immagini del primo viaggio aereo sulle note di John Barry), ribaltando con il punto di vista anche le convenzioni e i limiti della società del primo Novecento. Se è vero che da un lato La mia Africa sembra proseguire il filo rosso che da Via col vento passa attraverso Elia Kazan e Douglas Sirk fino ad arrivare al David Lean di Lawrence d’Arabia e Passaggio in India, bisogna ammettere che l’operazione di Pollack si distingue per alcune caratteristiche originali. Innanzitutto il ricorso alla musica e alla poesia come ponte tra la propria immaginazione e la realtà: il desiderio di libertà e di emancipazione che muove le azioni di Karen e Denys è amplificato dalla musica di Mozart o dai versi di poeti come Coleridge e Housman (citato nell’elogio funebre del sottofinale), dalla mole di libri che trabocca dalle stanze della baronessa, pentita del suo matrimonio di convenienza con il bel Bror (ottimo Klaus Maria Brandauer).

la-mia-africa-klaus-maria-brandauerDi fronte ad una natura allo stadio primitivo, di fronte agli spazi sconfinati africani, ai rumori, agli odori della foresta, tra leoni e ippopotami, scimmie e giraffe, Karen e Denys dilatano le loro percezioni sensoriali fino a cercare un impossibile equilibrio tra Natura e Grazia. Karen diventa la cacciatrice e Denys la preda impossibile da raggiungere, in perenne movimento, prima nei safari in macchina e poi negli splendidi voli con il piccolo biplano giallo Gipsy Moth. L’ unico momento in cui Karen cattura il suo uomo  è quando lo lega con il laccio invisibile delle parole, con il potere affabulatorio della Shahrazad de Le mille e una notte. Non è un caso che la scena più erotica si svolga sulla riva del fiume mentre, citando The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge, Denys lava i capelli a Karen, invertendo i ruoli.  Ma oltre la componente sentimentale che è in tono con i colori e gli odori di un universo così favolistico, Pollack sottolinea la distanza tra il mondo occidentale colonizzatore e quello degli indigeni, spesso pervaso dal fatalismo e dalla accettazione di un volere divino impossibile da prevedere. Così gli stessi nativi africani diventano prede impossibili da raggiungere, spesso incatenati a tradizioni e superstizioni che nessun colonialismo potrà mai sottomettere. Denys è l’unico che non prova a imporre un modello europeo ma cerca al contrario di africanizzarsi, lasciandosi alle spalle luoghi comuni e barriere culturali.

Vincitore di sette Oscar (miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura non originale, migliore fotografia, migliore scenografia, miglior sonoro e migliore colonna sonora a John Barry), La mia Africa non è soltanto una turbolenta storia d’amore tra due anime ipersensibili e indipendenti ma è soprattutto un pressante invito ad abbattere le proprie barriere mentali e aprirsi a prospettive esistenziali che si svincolino dai legami della civiltà abbracciando la libertà dell’artista privo di volontà. Si tratta di vivere, non di sopravvivere. Il rischio è perdersi dentro due occhi limpidi come un addio, ma, attraverso il volo dell’immaginazione si è condiviso, per qualche brevissimo magico istante, l’ipotetico punto di vista di Dio.

 

Titolo originale: Out of Africa
Regia: Sydney Pollack
Interpreti. Meryl Streep, Robert Redford, Klaus Maria Brandauer, Michael Kitchen, Malick Bowens
Durata: 161′
Origine: Usa 1986
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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