FILM IN TV – Nodo alla gola, di Alfred Hitchcock

Una lunga costruzione drammaturgica il cui scopo è svelare un segreto per mostrare l’incertezza di ogni verità e la precarietà di ogni possibile visione. Mercoledì 29 giugno, ore 00.00, Iris

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Leggendo i racconti di vari scrittori che egli stesso presentava e riuniva in silloge nella vecchia e gloriosa collana economica degli Oscar, uno dei tarli di Hitchcock era quello dello “smaltimento” del cadavere dopo l’avvenuto delitto. Nodo alla gola, o più semplicemente nell’originale ed efficacissimo Rope (1948), con la sua carica psicologica che serve ad imbastire la vicenda, parte proprio da questo problema.
Brandon e Philip che nella vita fanno coppia, dove nasconderanno il cadavere dell’appena strangolato amico David? Come faranno a celare l’omicidio agli ospiti del già preordinato cocktail che vedrà tra gli altri i genitori dello stesso David (la madre per esigenze narrative sarà sostituita dalla sorella), Janet la sua fidanzata, Kenneth amico comune ed ex fidanzato di Janet e soprattutto il loro vecchio istitutore del college Rupert Cadell (James Stewart)?
Il film di Alfred Hitchcock è anche questo, una lunga costruzione drammaturgica ilNodo alla gola cui scopo è quello dello svelamento del segreto, custodito con fatica dal timido e fragile Philip e con spudorata ostentazione di sicurezza da superuomo da parte di Brandon. Il tema dell’occultamento, quindi, di cui quello del cadavere (come sarà in La congiura degli innocenti e in La finestra sul cortile) resta il dato evidente, divenendo criterio interpretativo per tutto il cinema di Hitchcock che più si approfondisce più rivela, tra le pieghe dei sui colori pastello, o dietro la bonarietà fatua di alcuni suoi personaggi, l’abisso e l’orlo del baratro della coscienza verso il quale i suoi protagonisti sembrano essere pericolosamente sospesi. In questo senso il cinema del grande Autore inglese resta un caposaldo del 900, avendo partecipato, con intenso coinvolgimento personale, allo scandaglio della coscienza che costituisce, per continuità di studi, un interesse precipuo per tutte le discipline che pongano al centro l’analisi delle strutture del pensiero e del comportamento.

Nodo alla gola, Granger e DallNodo alla gola con il suo andare da cerimonia funebre e thriller puramente psicologico è un film esemplare e forse unico nella costruzione unitaria di matrice aristotelica e se appare imparentato con il teatro, per la sua messa in scena massimamente frontale e oppositiva rispetto allo spettatore, è altrettanto vero (ma assolutamente più vero) che la macchina da presa di Hitchcock diventa esclusiva protagonista e sguardo totalmente sostitutivo dell’invisibile indagatore, oppure terzo occhio vigile ad investigare sulla incertezza di una verità sfuggente perché occultata o troppo mostrata. Ci sono due sequenze – in questo film così perfettamente calibrato dentro le coordinate di uno studio perfetto della stesura drammaturgica e nel contempo di una definizione dei personaggi e delle loro caratteristiche psicologiche – che restituiscono a pieno il senso nella accezione di Godard della funzione primaria affidata al cinema come dispositivo costituito da microscopio + telescopio e cioè un congegnoNodo alla gola, J. Stewart che serva a mostrarci ciò che i nostri occhi non sono in grado di vedere. La prima, in ordine cronologico, è quella in cui Brandon con la sua sicumera spavalda esibisce il pezzo di corda che è servito per strangolare David e tenendolo stretto tra le due mani lo ripone platealmente nel cassetto del mobile della cucina, la porta a molla continuando ad aprirsi e chiudersi sui gesti di Brandon sembra portare alla superficie della nostra percezione l’incertezza di ogni verità, la fragilità di ogni azione e la precarietà di ogni possibile visione. La seconda è quella in cui Rupert ricostruisce, provocato da Brandon, il delitto, colpendo nel segno per ogni suo tassello e la macchina da presa, con diligente “incertezza” (come sarebbe quella umana), accompagna le sue parole nel ricostruire il percorso. Ecco quindi che il cinema di Hitchcock, qui tutto racchiuso in un unico piano sequenza fratturato millimetricamente da ravvicinatissime inquadrature che si confondono col nero degli abiti, per riprendere esattamente la da dove aveva lasciato l’inquadratura precedente, si offre come uno studio della (ri)elaborazione della genesi del male e ne assume la sua necessità. L’esplicita sequenza iniziale ci informa del già avvenuto delitto del malcapitato David. Senza quell’omicidio non vi sarebbe luogo al film e l’evento resta per queste ragioni requisito condizionante dell’esistenza dei 77 minuti di storia alla quale Hitchcock ci inchioda. Tutto Nodo alla gola, Hitchcockil film gioca con lo spettatore nella serissima intenzione di analizzare il comportamento delittuoso nella sua pura manifestazione e rappresentazione. Ecco le ragioni per le quali anche il decisivo indizio del cappello che suggerisce e conferma a Rupert i suoi sospetti (nell’uscire Rupert indossa un cappello non suo e nell’interno una D prova una verità che aveva intuito), non assurge ad elemento decisivo e magari sottolineato da un pieno d’orchestra come sarebbe accaduto in un thriller qualsiasi. Ma ancora di più, come non sottolineare in questo senso che in fondo lo spettatore non riesce a comprendere neppure le ragioni per le quali avviene l’omicidio. Hitchcock ne fa una questione estetica, una sfida alla morale, come la coppia omosessuale dei due protagonisti e costruisce un meccanismo che assomiglia molto a quello di Poe in La lettera rubata, per dimostrare “l’invisibilità” del delitto anche quando si manifesti in modo così plateale. PerfinoNodo alla gola, 1948 il primo piano insistito della cassapanca che contiene il corpo di David è lasciato in tutta la sua evidenza in un lungo primo piano e da spettatori onniscienti comprendiamo che quella sequenza non è rivolta a noi, ma è il terzo occhio di Rupert che mentre discute con Brandon e Philip elabora i suoi sospetti. I due livelli narrativi sono qui condensati e i pensieri di Rupert si sovrappongono alla lenta opera della governante Wilson che libera la cassapanca dai resti del cocktail. Il mobile resta nudo e assume nuovamente la sua qualità di oggetto ingombrante, straordinariamente non occultabile. Nodo alla gola sembra non curarsi dell’effetto dell’omicidio, delle sue conseguenze giudiziarie, mostrando invece tutta la sua purezza di espediente esclusivo – non “sporcata” da esigenze narrative – impossibile da classificare all’interno di ogni altro genere. Piuttosto il film ha una Nodo alla gola_1funzione archetipica, punto di riferimento e generatore di nuove indagini e narrazioni.
In questi assunti ritroviamo anche lo spirito che anima il cinema del Maestro inglese e la sua ricchezza di inestimabile valore. Hitchcock non utilizza mai la morale per la costruzione del suo cinema, si discosta da ogni valutazione del valore o del disvalore riconoscendo al male uguale dignità del bene, rivolgendo la sua poetica più alla conoscenza della volontà del male e alla sua radicalizzazione dentro la coscienza e quindi alla definizione di una teoria della psicologia dell’omicida e per converso del suo antagonista indagatore, che alla/alle vicende da cui l’omicidio viene generato. Per questa ragione si fatica a fare rientrare il cinema del regista inglese nel genere, di volta in volta, ben definito del thriller o del poliziesco, del noir o dell’horror. Che poi questo lavoro gli riesca sempre bene e a volte molto bene è perché è per l’appunto un grande Autore, Regista e Maestro che ha sempre dimostrato di conoscere e sapere rappresentare l’animo umano e il sinistro e profondo fascino che il male esercita su di esso.

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Titolo originale: Rope
Regia: Alfred Hitchcock
Interpreti: James Stewart, John Dall, Farley Granger, Janet Walker

Durata: 77’

Origine: USA, 1948

Genere: giallo

 

Mercoledì 29 giugno, ore 00.00, Iris

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