FILM IN TV – Perdizione, di Béla Tarr
Perdizione è animato e teso fra due forze spente, due anime che lasciano oscillare il film in cerchi concentrici sempre più stretti, dove alla prolissità dei dialoghi Tarr affianca sequenze di immenso vuot, in una tragedia mancante di catarsi perché tutto affoga nel silenzio. Sabato 8 febbraio, ore 01.55, su RAI3
Inizia tutto da qui, anche se cronologicamente siamo a metà, anche se in un certo senso è già una fine. Con Perdizione, Tarr abbandona lo stile dei suoi primi film di forte impronta realista, conserva alcune intuizioni sperimentate in Almanacco d’autunno, che brilla e gira su se stesso all’interno della filmografia del regista, e crea ciò che sarà lo stile che lo renderà famoso (si fa per dire) al di fuori della sua odiata Ungheria.
Perdizione è animato e teso fra due forze spente, due anime che lasciano oscillare il film in cerchi concentrici sempre più stretti. Da un lato, la prolissità dei dialoghi, influenza diretta dell’esordio alla sceneggiatura di László Krasznahorkai, scrittore che collaborerà con Tarr fino alla fine, e la sua prosa densa e introspettiva, la cui possente lunghezza viene replicata dall’insistenza della mdp a non staccarsi dagli attori durante i loro dialoghi, dilatandosi in piani sequenza che immobilizzano il tempo, lo rendono arido svelandone l’indifferenza. Ma a questi momenti dialogici che si faranno sempre più rari nei successivi film, Tarr affianca sequenze di immenso vuoto, dove la mdp, accompagnata solo dall’eterno rumore della pioggia, si sofferma sui personaggi e il loro abbandono: l’uomo che balla da solo sotto la pioggia; gli sguardi spenti al di là dell’occhio della cinepresa; il ballo di gruppo finale, motivo visivo ricorrente nei film di Tarr, dove i corpi gonfi d’alcool sono avvolti dal loro stesso movimento circolare e la mdp smette di scorrere a lato ma si immerge nel vuoto e accompagna il muto danzare esasperato, con i volti che affondano nelle spalle altrui per nascondere
Le parole scorrono perché sono destinate a orecchie di fango e acqua, perché ogni storia è una storia di disintegrazione. Rimane solo la pioggia e i cani randagi, forse i veri protagonisti del film (o del cinema?), a ricordarci l’animale che dunque siamo. È finita, non c’è fine.
Titolo originale: Karhozat
Regia: Béla Tarr
Interpreti: Miklós B. Székely, Vali Kerekes, Gyula Pauer, György Cserhalmi
Origine: Ungheria, 1988
Durata: 116'