FILM IN TV – Quel pomeriggio di un giorno da cani, di Sidney Lumet
Una rapina diventa il pretesto per raccontare un sistema di potere che ingabbia le speranze di libertà dell’ individuo, Con un monumentale Al Pacino. Sabato 25 giugno, ore 18.15, Iris
“Noi prendiamo il talento dell’attore, il desiderio del produttore, gli intenti dello sceneggiatore; prendiamo il mestiere del dialoghista e l’immaginazione del direttore della fotografia e poi li uniamo in un tutto rivolto a un unico obiettivo. Il lavoro principale del regista consiste nell’evidenziare un punto di vista”. (Sidney Lumet)
Proporre un punto di vista. E’ quello che fa Sidney Lumet raccontando in Dog Day Afternoon, un caldo pomeriggio di ordinaria follia: una rapina avvenuta il 22 agosto del 1972 nella Chase Manhattan Bank di Brooklyn e riportata da P.F. Kluge e Thomas Moore nell’articolo “The Boys in the Bank” sulla rivista Life. L’evento in sé sembra non significativo ma diventa specchio fedele dell’atmosfera politica di un’epoca: gli anni 70 si aprono con la bruciante ferita del Vietnam e la rivolta nel carcere di Attica sedata nel sangue dalle forze di polizia.
L’equazione di Sidney Lumet è molto semplice: il microcosmo che si viene a creare all’interno della Banca è paragonabile a quello di un sistema di potere che ingabbia le speranze di libertà dell’ individuo. Sonny (un monumentale Al Pacino) vive una esistenza finta fatta di compromessi: la madre iperprotettiva, la moglie logorroica, l’amante Leon (Chris Sarandon) che vuole cambiare sesso. La propria omosessualità è nascosta in giacca e cravatta come il fucile in una scatola per fiori (citazione di Rapina a mano armata di Stanley Kubrick), ma il conflitto emerge improvviso in quegli scatti isterici, reazioni improvvisate fuori sceneggiatura.
Al Pacino da vero istrione, suda, sbraita, muove gli occhi esplorando ogni spazio, a un certo punto arringa la folla che si è assiepata fuori dalla banca con una oratoria sulla repressione violenta delle forze dell’ordine. Il suo urlo “Attica, Attica!!!” è un colpo di teatro che gli consente di diventare in pochi minuti una celebrità mass-mediatica. Lumet preconizza il suo Quinto potere, rivelando l’immensa forza seduttiva di un microfono e di una telecamera in una società molto sensibile alla spettacolarizzazione della tragedia (viene in mente L’asso nella manica di Billy Wilder). Persino il ragazzo delle pizze, per il solo fatto di avere fatto la consegna ai rapinatori in diretta televisiva, grida “ I’m a fucking star!”.
All’umanità ipercinetica di Sonny fa da contraltare il silenzio quasi autistico di Sal (John Cazale) che rallenta il ritmo verso una pausa malinconico-meditativa: la sua visione del mondo è piuttosto ristretta e i pochi scambi di battute ne rivelano l’ingenuità (“Voglio andare in Wyoming”) e la contraddizione (“Non fumare, il corpo è il tempio di Dio”). John Cazale viene dai successi de Il Padrino (1 e 2) e La conversazione e regala l’ennesima interpretazione tutta in sottrazione avvolta da uno sguardo sperduto. I luoghi indistinti e la folla anonima che caratterizzano le prime immagini del film sulle note diegetiche di Amoreena di Elton John sembrano uscire da un documentario con intento sociologico che raffigura una New York umida e spettrale. Lumet si trova più a suo agio quando deve fare muovere i suoi personaggi all’interno di spazi chiusi: le scene più intense sono proprio quelle dentro la banca (la claustrofobia rimanda a La parola ai giurati), quando Sonny è in primo piano al telefono, o quando detta il proprio testamento poco prima del viaggio verso l’aeroporto JFK (“A mia madre io chiedo perdono: per te non hanno senso le cose che ho fatto e detto, ma devi capirlo, sono diverso”). Sonny e Sal si appoggiano in tempi differenti alla medesima parete con un gesto rassegnato riconoscendo la impossibilità a uscire da questo vicolo cieco: i quindici minuti di celebrità sono pagati con gli interessi anche perché il clamore mass mediatico depotenzia la forza sovversiva che muove i due reduci dal Vietnam. La diversità di Sonny e Sal è la causa del loro isolamento: il Sistema li riconosce come estranei e produce gli anticorpi per rimuoverli.
Oscar 1976 per la sceneggiatura originale a Frank Pierson (quell’anno stravinse Qualcuno volò nel nido del cuculo), Dog Day Afternoon è uno dei primi film americani a trattare il tema della diversità sessuale e comportamentale immergendolo nel contesto del proprio tempo, evidenziando gli specchietti per le allodole della società dello spettacolo. Sonny e Sal si sciolgono nella canicola, prima alla luce dei riflettori televisivi, poi nell’oscurità dell’aeroporto. Vivono l’illusione di essere il centro del mondo ma vengono presto fagocitati e ridotti a prodotti di visual merchandising. E’ la televisione, bellezza.
Titolo originale: Dog Day Afternoon
Regia: Sidney Lumet
Interpreti: Al Pacino, John Cazale, Penelope Allen, Charles Durning, Chris Sarandon
Durata: 125′
Origine: Usa 1975
Genere: drammatico
Sabato 25 giugno, ore 18.15, Iris