FILM IN TV – Rain Man – L’uomo della pioggia, di Barry Levinson

Viaggio on the road carico di nostalgia, con un Hoffman che cammina in costante equilibrio tra un’emotività trattenuta e un silenzioso bisogno di comprensione. Sabato 24 sett., ore 17.10, Rai Movie

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Guardando Rain Man si ha la percezione di assistere a una pellicola del cinema classico: dalla messa in scena, alla storia alla scelta delle musiche (dietro c’è la mano di Hans Zimmer), si assapora una brezza nostalgica per un tempo felice che non è destinato a tornare. Si tratta, però, di un discorso stratificato che attraversa la zona più propriamente filmica per sprofondare o emergere – dipende dal punto di vista – in quella cinematografica.

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La storia di Charlie Babbit (Tom Cruise), che dopo la morte del padre viene a conoscenza dell’esistenza del fratello autistico Raymond (Dustin Hoffman), ha pochi elementi di novità: già dall’inizio è una narrazione che procede per tappe, per scoperte e, in conclusione, per una triste accettazione. La dualità familiare, con i suoi contrasti e conflitti irrisolti, viene sviluppata attraverso il road trip, il viaggio in autostrada che i protagonisti sono costretti a fare a causa della fobia di Raymond per i voli. Ed è curioso che tutto si snodi proprio intorno a un’auto d’epoca, che il padre aveva vietato a Charlie di guidare, mentre a Raymond era stato concesso più di una volta (nel vialetto di casa).

Il viaggio, dicevamo, diventa quindi un’occasione per scavare nei ricordi dell’infanzia, per provare a (ri)stabilire una connessione emotiva che aveva assunto i contorni di un

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rain-man-6a visione sbiadita, deformata. Il percorso però è a senso unico, date le barriere naturali di Raymond che non gli permettono di creare relazioni umane (ma è davvero così?); tra i protagonisti si viene a formare un’empatia sussurrata, mai diretta, eppure estremamente potente che è in fondo la vera forza del film: il riuscire cioè a comunicare non tanto con le parole, che suonano meccaniche e ridondanti, quanto facendo ricorso a gesti e sguardi di una semplicità toccante (le lezioni di ballo o lo scherzo dello sciroppo d’acero). In tal senso il cambiamento di Charlie, la sua apertura nei confronti del fratello, e in generale della vita, si caricano di un senso dolceamaro che acquista profondità in virtù del suo realismo, non ostentato in esercizi di retorica o in happy ending collettivi.

Rain Man ha anche il merito di aver messo il grande pubblico di fronte a un tema fino a quel momento marginale nel cinema, l’autismo. Per il personaggio di Raymond lo sceneggiatore Barry Morrow si è ispirato a due persone affette da sindrome del savant. Tuttavia il risultato è un bel po’ distante rain_man_dustin_hoffman_valeria_golino_foto_dal_film_1_bigdalla realtà e ciò ha contribuito a diffondere un immaginario decisamente stereotipato e limitante che è sopravvissuto a lungo. Il cinema stesso, per fortuna, si è svegliato dal suo torpore regalandoci negli ultimi tempi pellicole più autentiche e complesse sotto questo punto di vista (pensiamo al bell’esempio di Temple Grandin). Altro discorso per l’interpretazione di Hoffman la quale cammina in costante equilibrio tra un’emotività trattenuta e un silenzioso bisogno di comprensione. Cruise si sa difendere bene e non stona nemmeno la nostrana Golino, che funge da calamita sentimentale per i due protagonisti. Barry Levinson, che come molti suoi colleghi degli anni ’80 affiancò al mestiere di scrittore quello di regista (aveva diretto, tra gli altri, Robert Redford, Richard Dreyfuss e Robin Williams), firma una pellicola dalle basi narrative solide e nel complesso piacevole – non certo un capolavoro, a dispetto di Orsi e statuine varie – che ancora oggi ha qualcosa da dire (forse con un po’ di ingenuità).

 

Titolo originale: Rain Man

Regia: Barry Levinson
Interpreti: Dustin Hoffman, Tom Cruise, Valeria Golino, Gerald R. Molen, Barry Levinson
Durata: 126’
Origine: Usa 1988
Sabato 24 settembre, ore 17.10, Rai Movie

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