FILM IN TV – Sinfonia d’autunno, di Ingmar Bergman

Bergman lo detestava perché troppo bergmaniano (“Bergman detesta fare Bergman”), Assayas lo ha amato “in un momento in cui non era ancora di moda”. Venerdì 18 dicembre, ore 16, Rai Movie

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Bergman lo detestava perché troppo bergmaniano (“Bergman detesta fare Bergman”), Assayas lo ha amato “in un momento in cui non era ancora di moda”, Ingrid Bergman, già malata, vi lavora pur trovandolo “noioso” e ci regala, malgrado i continui contrasti col regista, la sua ultima, immensa interpretazione per il grande schermo. E’ un film fuorviante sin dalla gestazione Sinfonia d’autunno: il regista inizia a scriverlo in Svezia, col titolo di Madre e Figlia e Madre, subito dopo aver appreso la notizia dell’archiviazione del processo per frode fiscale a suo carico. E lo gira in Norvegia, poco prima di rientrare professionalmente dall’autoesilio. L’esito – il drammatico incontro, dopo anni di distanza, tra una madre, sfuggente pianista di successo (Ingrid Bergman), e una figlia (Liv Ullmann), sposa insicura di un pastore e sorella benevola di Helèna, gravemente malata – è per Bergman un fallimento: la caduta di un “sogno” verso una “storia volgare, con tutte le spiegazioni e le scene”. Ma proprio per questo Sinfonia d’Autunno è un film che imbastisce più di altri un discorso autoriale sul linguaggio, tensioni e limiti, del cinema, finendo per condensare ed esprimere con peculiare efficacia i leitmotiv del maestro svedese.

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ingrid bergman e liv ullmann in sinfonia d'autunnoLa musica anzitutto, come forma prediletta (per bocca di Eva/Liv Ullmann ) della comunicazione oltre “i confini” che separano, per “paura”, prima che le persone tra loro, i diversi mondi che compenetrano le singole esistenze implodendo in follia (la malattia di Karin in Come in uno specchio come quella di Helèna). Vocazione sinfonica tradita già nel titolo – che nell’originale è “sonata”, più esercizio solipsistico che dialogo e musica d’orchestra – e quindi caduca, se madre e figlia non si incontrano, ma scontrano al piano eseguendo Chopin. Il tema si collega a quello, speculare, della fallacia della parola “parlata”: le confessioni madre-figlia, nello spazio claustrofobico e autobiografico della canonica, falliscono senza mai tradursi in apertura. L’unica possibilità “forse” di arrivare all’altro, con un ruolo di mediazione e pacificazione autentica, è nella parola scritta, registrata, “visiva”: quella di una lettera che apre e di un’altra che chiude l’opera, con esatta circolarità. E’ solo attraverso questa parola immaginata – e attraverso gli smarrimenti/incantamenti del volto (intensissimi quelli di Ullmann/Bergman nel finale con montaggio parallelo) – che Bergman regista può fare qui un passo indietro rispetto alla conclusione atea di Luci di inverno per scommettere ancora, in extremis, sulla “lezione d’amore” di Come in uno specchio. E’ un ennesimo tributo dell’autore teatrale (della parola e della figura intera) all’innamoramento iniziatico per la “lanterna magica”: il cinema come “proiettore dell’anima” che restituisce per sempre a Eva, in silenzio e luce, i primi piani del suo bambino morto. Ma anche il cinema come “bisturi” per penetrare, freudianamente e senza anestesia, nelle zone più rimosse e colpevoli delle relazioni familiari e nei loro paradossi: nella “solita” poca fede di un uomo di fede (il marito pastore), nel desiderio/odio per la madre di una bambina sola (Linn Ullmann, figlia di Liv e Ingmar Bergman) come nel disgusto della madre (ennesima incarnazione di Crono divoratore dei figli per anaffettività) verso la malattia irreversibile dell’altra figlia sino a desiderarne la morte. Si tratta di un’ossessione (ricorre ne Il silenzio e in Come in uno specchio) di più o meno inconscia tangenza kierkegaardiana se, per questa via, gli stati di malato e sano si ribaltano ed è proprio la fuga dallo “specchio” della morte (Helèna) che spalanca alla madre la vera “malattia per la morte” come disperazione. Cinema troppo “bergmaniano” per l’autore che vi cattura tuttavia i primi, ultimi, violenti, indimenticabili ritratti (attimi) della grande attrice svedese. Puro cinema “dell’istante” di un “pescatore di perle”.

Titolo originale: Höstsonaten

Regia: Ingmar Bergman

Interpreti: Ingrid Bergman, Liv Ullmann, Lena Nyman, Halvar Björk, Marianne Aminoff

Durata: 90′

Origine: Francia/Germania 1978

Genere: drammatico

 

Venerdì 16 dicembre, ore 16.00, Rai Movie

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