FILM IN TV – "The Game – Nessuna Regola", di David Fincher
Rivedere oggi The Game, quindici anni dopo la sua uscita e a ridosso dell’ultimo eccezionale Millennium, fa uno strano effetto. Si ha la straniante sensazione di trovarsi di fronte al manifesto teorico di tutto il cinema di David Fincher. Una riflessione consapevole e profetica su come si possa concepire ancora l’immagine in un’epoca (il nuovo millennio) segnata dall’indistinzione confusiva tra realtà e riflesso, gioco e vita, analogico e digitale. Venerdì 17 febbraio ore 21,10 Iris
Rivedere oggi The Game – quindici anni dopo la sua uscita e a ridosso dell’ultimo eccezionale Millennium – fa uno strano effetto. Si ha la straniante sensazione di trovarsi di fronte alla matrice di tutte le opere di David Fincher: una sorta di manifesto teorico che svela “il gioco del cinema, vale a dire la possibilità di vedere l’immagine come qualcosa d’altro rispetto a ciò che mostra”. Il film si basa su un gioco che investe la vita del protagonista Nicholas Van Horton (interpretato da un Michael Douglas in versione Gordon Gekko) dando il via ad una girandola di sciarade autorigenerantisi che travolgeranno ogni sua certezza. Un movimento, quindi, che instilla il caos per poi (ri)geometrizzare lo spazio: la sua esistenza asettica verrà minata da piccoli atti di sabotaggio che via via si faranno più grandi e pericolosi rompendo gli schemi e inabissando ogni concetto di reale e fittizio.
Ma cos’è in fondo questo gioco? È un regalo di compleanno da parte del fratello Conrad (Sean Penn), ed è il regalo più tradizionale di tutti: Conrad porta Nicholas al cinema. Gli regala il Cinema: un gioco fine a se stesso, strutturato in generi codificati (qui thriller, noir, romance, action si rincorrono furiosamente), che si nutre di immaginario e lascia zampillare il passato/reale come sfumata scheggia di tempo filmata in low definition. E, dopo quindici anni, possiamo chiederci ora: David Fincher qui “gioca” semplicemente con lo spettatore? No, in realtà fa molto di più: riflette consapevolmente e profeticamente su come si possa concepire (ancora) il cinema in un’epoca dove la perdita di ogni referente reale diventa lo statuto ontologico dell’immagine e dove l’indistinzione confusiva tra realtà e riflesso, gioco e vita, analogico e digitale diventerà presto (nel nuovo millennio) la norma. Van Horton e noi con lui siamo perfettamente consapevoli del raggiro, forse persino dell’happy end che ci attende, eppure veniamo contagiati da fastidiose sensazioni (pericolo, controllo, paranoia) apparentemente ingiustificate.
Fincher, insomma, svela il meccanismo e coraggiosamente porta avanti la sua riflessione sino alle estreme conseguenze: non a caso questo è il suo film meno celebrato, meno compreso, bollato sin da subito "opera minore"…ma, come ci insegnava François Truffaut, è proprio nelle opere “malate” dei grandi registi che si nasconde il vero fascino. Ed è l’abissale ultima sequenza che qui (s)maschera e (ri)crea ogni trucco: tutto il “cast” inizia ad applaudire il nostro pirandelliano personaggio in cerca d'autore. Ma non applaude Nicholas Van Horton o Michael Douglas che lo interpreta: il cast della sciarada/film The Game applaude il cinema come macchina spettacolare che si regge sul nulla, produce simulacri, instilla emozioni comandate, ma ha anche l’incontenibile potere di aprire fulminei varchi sul nostro Reale perturbante. Varchi sulla purezza dell’umano. E allora probabilmente ci dimenticheremo di nuovo di questo film, lo considereremo minore, lo nasconderemo nelle pieghe della straordinaria filmografia di David Fincher…e lo faremo perché in fondo siamo tutti dei Nicholas Van Horton in cerca disperata di un nuovo the game che ci faccia pericolosamente danzare nel vuoto del nuovo millennium.
Titolo originale: The Game
Regia: David Fincher
Interpreti: Michael Douglas, Sean Penn, Deborah Kara Unger, James Rebhorn, Carroll Baker
Origine: USA, 1997
Durata: 129'
Venerdì 17 febbraio ore 21,10 Iris