"Final Fantasy" di Hironobu Sakaguchi

Nessuna macchina da presa, nessun attore, nessun set.Eppure “Final Fantasy” è un raro esempio di cinema totale, un’invenzione del futuro che permette ancora ad uno sguardo di penetrare la realtà sensibile e trascenderla

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Che cos’è una superficie? Come si crea materia cinematografica? Sono queste le domande che pone un film (film?) come “Final Fantasy”, escursione mistica e tecnologica oltre i ristretti limiti del fotogramma, al di là degli angusti confini della tradizionale inquadratura, lì dove il cinema è volo onirico.
Nessuna macchina da presa, nessun attore, nessun set: solo un regista esordiente Hironobu Sakaguchi – ideatore dell’omonima e fortunata serie di videogames – e una macchina elettronica, un computer demiurgo di forme e materie filmiche. Eppure “Final Fantasy” è un raro esempio di cinema totale, un’invenzione del futuro che permette ancora ad uno sguardo di penetrare la realtà sensibile e trascenderla, attraversare un corpo o un oggetto e scoprire un universo di cellule, neuroni, visioni e percezioni sensoriali. Uno sguardo che apre uno spazio mentale, una foresta di immagini dove feroci alieni uccidono i superstiti del genere umano succhiandone lo spirito e l’essenza della vita è un flusso, un’ombra che qualcuno si ostina a chiamare anima. Ma, a ben guardare, si tratta ancora di materia, di uno strato di pellicola che avvolge l’occhio dello spettatore e mostra tutta la sua consistenza, è tangibile, sottile ma resistente, è una superficie limpida e polverosa con cui l’occhio dello spettatore entra in contatto.
E “Final Fantasy” è la storia di questo contatto, una parabola dal lontano sapore biblico che racconta la genesi di una nuova età delle immagini, di un’era segnata dall’alchimia fra superfici diverse: come e più di Jude Law in “A.I.”, perché più astratta e materica, la dottoressa Aki, splendida protagonista di questo esperimento visivo, non è volgare riproduzione digitale di un corpo umano, non è dickiano simulacro cinematografico; piuttosto è la rappresentazione incarnata di una forma che prende vita, e vivendo diviene e desidera e scopre lo schermo/il cinema come luogo privilegiato della molteplicità, come superficie liquida che si può toccare con un dito per trapassare in un’altra dimensione. Un mondo subacqueo, un oltremare dove non c’è più traccia d’umanità – anche se i protagonisti di “Final Fantasy” continuano a ritenersi umani, ma si tratta solo di un errore percettivo, una svista sensoriale – e i personaggi nuotano in quell’humus primordiale che accoglie, quasi guscio uterino, anche le filiformi “Intelligenze artificiali” di spielberghiana e futura memoria.
Un abisso azzurro e profondo (l’immortale spirito di Gaia?) regala bagliori di un cinema dell’oltre, eternamente “fuori campo”, straniero e aereo fra le terrene geografie della settima arte, e, proprio per questo, proiettato verso uno sguardo assoluto e onnipotente.

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FINAL FANTASY
Titolo originale: Final Fantasy – The Spirits Within
Regia: Hironobu Sakaguchi, Monotori Sakakibara
Sceneggiatura: Al Reinert, Jeff Vintor da una storia di Hironobu Sakaguchi
Fotografia: Motonori Sakakibara
Montaggio: Christopher S. Capp
Musica: Elliot Goldenthal
Scenografia: Mauro Borelli
Voci: Ming-Na (dr. Aki Ross), Alec Baldwin (Grey Edwards), Ving Rhames (Ryan), Steve Buscemi (Neil), Peri Gilpin (Jane), Donald Sutherland (Dottor Sid), James Woods (generale Hein), Matt McKenzie (maggiore Elliot)
Produzione: Jun Aida, Chris Lee, Akio Sakai per Chris Lee Productions/Square Co. Ltd.
Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 106’
Origine: Giappone/Usa, 2001

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