Fire of Love, di Sara Dosa

Nel solco di Herzog, un documentario che interroga la nostra fame di immagini, gioca con le linee del biopic e regala allo spettatore due protagonisti straordinari, in bilico tra eroismo e follia.

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C’è, evidentissimo, lo spettro del cinema di Herzog tra le immagini di Fire of Love, il documentario che Sara Dosa ha dedicato alla storia di Katia e Maurice Krafft, vulcanologi (meglio, cacciatori di vulcani), compagni di vita, uccisi il 3 giugno 1991 durante la rovinosa eruzione del Monte Unzen, in Giappone. Fire of Love potrebbe davvero essere un progetto complementare a Grizzly Man, film che, in effetti, cita più volte, nel linguaggio, ma soprattutto nella vertiginosa conclusione della storia dei Krafft, tragicamente registrata su pellicola (e montata, ovvio, a chiusura del documentario), ma, in un certo qual modo, censurata come quella di Timothy Treadwell.

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E tuttavia è evidente che Herzog è solo il punto di partenza, uno spazio da costeggiare per trovare una propria voce, un proprio sguardo. Ce lo dice, in realtà, già l’ambivalente rapporto che il film intrattiene proprio con la morte, evocata quasi in controluce nell’ultima sequenza e annunciata al contempo apertamente nella prima scena, dalla stessa narratrice, Miranda July, che ricorda a chi guarda che quelle immagini sono tratte dal girato dell’ultimo giorno di vita dei due scienziati. In questo modo l’evento apparentemente centrale del racconto è inafferrabile, così fuori dallo spazio narrativo da essere un elemento che può essere ricombinato continuamente, riposizionato nel racconto, meglio, uno spunto che non è detto debba sottostare alle regole della narrazione tradizionale.

Ma a ben vedere l’intero Fire of Love è, in fondo, un complesso laboratorio narrativo che, a partire dal lavoro di montaggio sul materiale d’archivio dei Krafft, gioca con le immagini e la vita dei protagonisti per cercare una nuova via al biopic tradizionale. Così, nella sua prima parte, è un racconto divertito che parte come un film d’avventura e inaspettatamente racconta il primo incontro tra i due scienziati come in una scanzonata Rom Com.

Il film si smarca dunque velocemente dalle linee del biopic e diventa un inno alla vitalità della scoperta, velocissimo e proteiforme, pronto ad accogliere gli input più diversi nel suo flusso, dagli home movies alle animazioni in stop motion, fino a esorbitare negli splendidi e spiazzanti dettagli della lava in costante movimento girati dagli stessi vulcanologi dal bordo dei crateri.

Fire Of Love

 

Proprio a partire da queste immagini impossibili, quando non apertamente folli, il meccanismo narrativo subisce un nuovo processo di maturazione (o forse era a questo che puntava, fin dalla prima immagine…) e muta in un ostinato processo di disvelamento dell’ossessione dei coniugi Krafft, sempre più attratti dall’oggetto delle loro ricerche, anche a costo di rischiare non soltanto la vita ma anche l’esclusione dalla società civile.

Sara Dosa non si ferma di fronte alle porzioni di repertorio più ambigue, spigolose, quelle che raccontano la certezza dei coniugi di morire durante una delle spedizioni, l’esplicito desiderio di non lasciare eredi per evitare che diventino orfani, il velato cinismo che ha fatto studiare loro i vulcani perché “delusi dalle persone”. Eppure questo è il filone che regala i momenti più esaltanti, inconsapevolmente contemporanei (quanta modernità c’è, in fondo, nell’abitudine di Katia e Maurice di riprendere tutto ciò che facevano?) e densi, a tal punto che un’improvvisa massima di Katia Krafft da sola (“più si va a fondo nei cunicoli, nel cratere del vulcano, più vediamo, più possiamo conoscerlo, ma più in fondo si va, più rischiamo di morire”), pare raccontare alla perfezione tutte le ambiguità della nostra fascinazione per le immagini.

È evidente l’abilità della regia nel creare le circostanze adatte per un dialogo così fruttuoso tra lo spettatore ed i due vulcanologi: lo sguardo di Sara Dosa non è mai inquisitorio, piuttosto è umanissimo, compassionevole, curioso, affascinato dalle scoperte dei due scienziati.

E allora, davvero, questo è il trionfo dell’affascinante inafferrabilità, di quell’ambivalenza che si è mossa fin dall’inizio tra le immagini di Fire of Love, un racconto dal piglio vivacemente contemporaneo, che pone fondamentali domande sul senso profondo dell’immagine ma che soprattutto è in grado di avvicinare allo spettatore, di raccontare con empatia, tenerezza e onestà, due personaggi difficili, affascinanti ma scostanti, che forse mai si sarebbero aspettati di venire raccontati con tratti così eroici, a loro modo.

 

Titolo originale: id.
Regia: Sara Dosa
Interpreti: Katia Krafft, Maurice Krafft

 

Voce: Miranda July
Distribuzione: Academy Two
Durata: 93′
Origine: USA, Canada, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
Sending
Il voto dei lettori
3.5 (8 voti)
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