FKFF 21 – Geometrie dello sguardo, la masterclass con Bong Joon-ho

Nella masterclass il regista premio Oscar ha parlato della sua idea di cinema partendo dalle influenze che lo hanno accompagnato dagli inizi, Due i titoli fondamentali: Psycho e Ladri di biciclette

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Bong Joon-ho è il simbolo della fortuna rinnovata del cinema Coreano. “Geometrie dello Sguardo” è il titolo della masterclass tenutasi ieri, durante la quale il pluripremiato (4 Oscar per Parasite nel 2019) regista ha raccontato delle sue geometrie, appunto. Il titolo dell’evento è un riferimento, se vogliamo, a Kubrick e la sua mania ossessiva nella composizione dell’immagine. Anche Bong Joon-ho ha saputo coniugare una fortissima impronta estetica con l’ambizione d’autore ricorrente nei temi e nei personaggi; così come nei toni da commedia tragicomica. Quello che emerge da questo incontro, è il profilo di un regista cinefilo prima ancora che cineasta, che ama alla follia il suo lavoro, e quando viene chiesto quale sia il senso più intimo delle sue opere, risponde: io desidero solo lavorare facendo ciò che amo e impegnandomi al massimo.

Il punto di partenza della masterclass è stato il citazionismo nei film del regista, due i titoli cardine, Psycho di Hitchcock e Ladri di biciclette di De Sica. Questi due capolavori infatti hanno colpito il cineasta tanto da venire citati periodicamente dentro i suoi stessi film. Seppure i due titoli diametralmente opposti, costituiscono le due facce della stessa medaglia, la sua personale poetica. Quindi Bong Joon-ho racconta dell’innamoramento e della voglia di arrivare a quei livelli di profondità in quanto regista. Ho visto entrambi i film in un età molto giovane, prima dei dieci anni. A quell’età avevo appena avuto la mia prima bicicletta dai miei genitori, e dopo appena un mese mi è stata rubata. Quindi sono arrivato ad immedesimarmi moltissimo con il film e i personaggi di Ladri di biciclette, nonostante fossi troppo piccolo per sapere di De Sica e del Neorealismo. Invece Psycho è stata un esperienza scioccante, avevo appena dieci anni appunto e lo vidi senza sapere nulla. Mi colpii il flusso della storia, che non si capisce dove voglia andare a parare. Anche a livello visivo, era davvero turbante. Lo stravolgimento che mi causò mi segnò, e lo porto dentro tuttora. Sono entrambi film in bianco e nero, eppure il sangue che colava nel bagno di Psycho lo ricordo di colore rosso.

Provando a esaminare il cinema di Bong Joon-ho si è parlato di come si compone e degli innumerevoli spunti che offre. Infatti una figura ricorrente nei suoi film è l’attore e star sud coreano Song Kang-ho. In ogni collaborazione, il regista, racconta del lavoro che c’è dietro e del modo diverso volta per volta, di interpretare i personaggi da parte dell’attore. Song Kang-ho non si può definire un semplice attore, piuttosto una fonte di ispirazione e coraggio per tanti registi. Parasite si compone di molti personaggi e in questo caso prima di finire la sceneggiatura avevo già i nomi degli interpreti quindi ho modulato la caratterizzazione di ognuno di loro anche in base al volto che già avevo a disposizione. Nella scena del climax c’è questa azione di Song Kang-ho, che in molti potrebbe suscitare sentimenti contrastanti, che è stata possibile solo grazie all’attore perché ho pensato che solamente lui ne sarebbe stato capace, avere lui come supporto è stato fondamentale. In verità sul set non parliamo molto, abbiamo fatto quattro film insieme finora e solitamente l’intesa nasce spontanea.

Parlando proprio di attori, la discussione si sposta su Park Hae-il che prima di recitare in Memorie Di Un Assassino ha lavorato in generi differenti dal thriller, di un altro tono. Cosa ha convinto il cineasta che fosse proprio lui il volto giusto per il personaggio? Si, Park Hae-il è davvero meraviglioso, sembra quasi un cerbiatto. Ma c’è anche questo aspetto da psicopatico che odora di sapone. Secondo me questa dualità è una benedizione per un attore. Anche lui si diverte nell’avere questa duplice immagine. Quando uscì Memorie Di Un Assassino molti speravano che fosse lui il colpevole. Però questa speranza è un pensiero pericoloso, io puntavo su questa ambiguità. E l’unico in grado di assumere questa dualità era proprio Park Hae-il. Ricordo che una volta mi chiamò alle due di notte, ubriaco, prima delle riprese, chiedendomi disperato “ma quindi sono io o no il colpevole? Il pubblico non lo saprà mai, ma almeno io che devo interpretare questo ruolo posso saperlo?”. Io risposi che si, effettivamente potresti essere tu il colpevole, ma cerca di recitare come se fossi innocente. Aggiunsi però che più fingi di essere innocente più il pubblico si convincerà che sei tu il colpevole. Quindi nel pieno del conflitto interiore mise giù il telefono.

Bong Joo-Ho è un regista che mastica ormai appieno l’ambiente dei set, permettendo di fare un raffronto tra i diversi modi di lavorare sugli stessi in diversi parti del mondo. Infatti Snowpiercer, Okja e il prossimo in uscita Mickey 17 sono girati fuori dai confini sudcoreani. Parlando di questi approdi in altri sistemi produttivi (americani) il regista spiega: Ho avuto la mia prima esperienza all’estero con Snowpiercer e in realtà non ho notato grandi dissonanze. Le uniche differenze che ho notato sono nella composizione delle tropue, nell’approccio degli attori e nelle regole sul set. Ad esempio in America ci sono specifiche regole per proteggere gli attori più piccoli, se un attore è molto giovane, ogni 45 minuti di riprese è obbligatoria una pausa di 15 minuti. È sicuramente un pregio, questo. L’unica vera difficoltà può essere la comunicazione tra diverse lingue, ma sui set sono sempre presenti ottimi interpreti quindi è un problema facile da superare.

Alice Rohrwacher è tra le registe italiane preferite da Bong Joon-Ho. Lazzaro felice di Alice Rohrwacher mi ha colpito molto, seppure non affonda pienamente nel realismo. Parla più che altro dello sfruttamento lavorativo. Il cineasta confessa di non conoscere a fondo il nostro cinema storico, ma tra gli altri si professa un ammiratore di Marco Bellocchio ed Elio Petri. Quando studiavo cinema da giovane e frequentavo i cineclub Bellocchio ed Elio Petri mi hanno colpito molto.

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