Florence Korea Film Festival 2025 – Incontro con Hwang Jung-min
Il celebre attore coreano ha raccontato al festival i percorsi della sua carriera divisa tra teatro e cinema. Svelando come anche una cinematografia così ricca abbia ancora del potenziale inespresso

È un atipico incontro con la stampa quello di questa mattina avvenuto con l’attore Hwang Jung-min, ospite della seconda giornata della 23esima edizione del Florence Korea Film Fest. L’interprete di clamorosi successi in madrepatria come Veteran, riproposto oggi in occasione della retrospettiva a lui dedicata, e di Gongjak (The Spy Gone North), passato Fuori Concorso a Cannes nel 2018, ha risposto alle domande dei giornalisti nella saletta più piccola del cinema La compagnia in maniera per certi versi inedita all’interno di rassegne spesso fin troppo rutilanti: argomentando con precisione e invidiabile chiarezza le sue risposte. Così anche l’obbligata domanda sulla sua prima sortita a Firenze assume i caratteri di una sincera e inaspettata rassegna sugli eventi artistici del capoluogo toscano: “Stare qui a Firenze mi fa sentire strano. Tutta la città emana un’energia culturale incredibile. Ho visitato Palazzo Pitti e Palazzo Strozzi e sono rimasto estasiato dalla forza di questi posti”. Una sortita da turista che viene subito bilanciata quando comincia a raccontare la sua carriera andando a a ritroso, ovvero da quel 12.12: The Day che rimane, ad oggi, il più grande successo commerciale in Corea del periodo post-pandemico e che racconta uno dei giorni più cruciali della storia travagliata della penisola coreana. Proprio grazie al film diretto Kim Sung-soo l’attore ha vinto per la terza volta il Blue Dragon Film Award, uno dei massimi riconoscimenti per un attore del cinema coreano. Riconoscimento che però l’attore vede più come viatico che come motivo di prestigio: “Il Blue Dragon Film Award è davvero un premio di altissimo livello per un attore, rinomato in Corea e con tanto prestigio. Ogni attore coreano vorrebbe vincerlo nella vita, è il terzo per me e sono molto soddisfatto. 12.12: The Day ha avuto successo soprattutto proprio dopo la pandemia, anche per noi quello era un periodo duro e tosto: l’industria coreana cinematografica si era ritratta e questo film è stata quasi una resurrezione per le produzioni. Mi ricordo che quando sono andato a ritirarlo ho provato a dare incoraggiamento alle generazioni più giovani di attori che erano sconfortate per questa situazione. Loro si chiedevano se valesse ancora la pena fare cinema e io ho risposto dal palco che non si doveva mollare perché nel momento in cui molliamo non esiste più cinema“. Un rapporto quello con le nuove generazioni sottolineato e rivendicato con enfasi più volte da Hwang Jung-min che, a 54 anni, ha anche la voglia di scherzare su un suo possibile erede: “Ce ne sono tanti da tenere d’occhio. Io però non vorrei che recitassero così bene i loro ruoli, così li faccio io“. E anche sul suo possibile lascito l’attore dimostra di avere aspettative tarate umilmente verso il basso: “Io mi ritengo sia un attore ma anche un clown. Cerco di fare quello in cui sono bravo, quello che mi fa sentire vivo, come la recitazione. Quello che io desidero con le mie scelte e la mia carriera è che il pubblico di oggi, quando avrà dei nipoti, potrà dire loro che c’era un attore molto bravo, Hwang Jung-min, che ha fatto buoni film e buone interpretazioni”. Ecco allora che quando le domande virano sulla fortuna del cinema coreano degli ultimi decenni, l’attore si muove in due direzioni difficili da pronosticare.
Da una parte infatti, c’è l’affermazione dell’unicità di una cinematografia che, anche se commercialmente in espansione, mantiene intatta la propria cifra distintiva: “Mi è un po’ difficile determinare la linea di unione tra film coreani e film occidentali. Mi viene in mente un tipico detto coreano che dice ‘è bello ciò che è nostro‘ […] I nostri film, secondo me, si impegnano semplicemente per far emergere la loro coreanità. Credo che sia questo l’elemento principale che sta facendo diventare così internazionali i nostri lungometraggi, non perché abbiano legami specifici con i canoni occidentali“. Dall’altro lato c’è anche uno sguardo diverso su un’industria che a noi appare una delle più floride a livello mondiale ma che l’attore cerca un po’ di ridimensionare nei nostri soliti facili entusiasmi: “Sicuramente questo è il lato che emerge da fuori. Ma io da interno posso dire che ci sono difficoltà, anche per il numero delle produzioni. Ci sono tanti prodotti molto diversi tra loro che non riescono a farsi conoscere. Per farvi un esempio ci sono solo 100 film prodotti all’anno e la quota si è ridotta ulteriormente del 10 per cento nell’ultimo anno“. Se il cinema coreano allora ha qualche battuta d’arresto, non è così per il resto del mondo culturale coreano che il festival fiorentino continua a intercettare. Hwang Jung-min chiude allora la questione con una battuta molto meno innocente di quello che vuol apparire: “C’è distinzione tra mondo del cinema e quello dei k-drama e delle serie tv. Adesso io sono troppo vecchio per quel tipo di prodotto. […] Non sono contro drama e serie tv coreani. Li guardo e li seguo ma finora non ho ricevuto un copione che mi facesse scegliere di lavorarvi“