Florida, di Philippe Le Guay

Un film che funziona, che compie il suo “lavoro” sensibile sulla vecchiaia, la malattia. E che trova la sua umanità grazie a un Jean Rochefort che resiste, con le sue doti infinite, ai segni dell’età

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Le Guay sembra avere la stessa garbatezza del cinéma de papa contro cui lanciavano i loro strali i giovani turchi. Una “qualità” garantita dai temi, dagli interpreti, più in generale da una confezione difficilmente eccepibile, eppur priva di vero mordente, sempre a un passo dall’impersonale. Un cinema di servizio, tutto sommato, ripiegato sulla storia, sui risvolti drammaturgici, senza che le immagini riescano mai a intervenire davvero nella costruzione – o nella corruzione – del senso. Cosa ancor più vera ora che si è alle prese con un adattamento, la piéce La père di Florian Zeller, e non con una sceneggiatura originale.

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Claude Lherminier è un ottantenne che non sembra voler rinunciare alla vita, ai suoi piaceri e ai suoi entusiasmi. Del resto è uno che non si è fatto mancare nulla, avventure, amori, interessi. Vive ancora da solo, in una splendida villa nelle campagne di Annecy. A prendersi cura di lui e della casa, qualche donna di servizio, a cui Claude non lesina richieste particolari e frecciate di vario genere. Al punto da provocare, immancabilmente, la fuga, con il sommo rammarico della figlia Carole, che non sa proprio più a che santo votarsi. Un padre testardo, capriccioso, dall’energia inesauribile. Apparentemente. Perché la memoria di Claude sembra far sempre più le bizze, al punto da minare la sua autosufficienza. Alla radice di tutto, un dramma familiare rimosso, una tragedia dimenticata a forza.

 

floridaLe Guay lavora su vari piani temporali, il viaggio “della speranza” di Claude a Miami, le settimane immediatamente precedenti, i ricordi del passato lontano. Tutto si mescola, chiarendo e alterando al tempo i percorsi e le visioni. La percezione si impadronisce del reale, per poi essere puntualmente svelata, secondo un procedimento che rischia di essere meccanico, ma che comunque funziona. Ecco, sì, Florida è un film che funziona, che compie il suo “lavoro” sensibile sulla vecchiaia, la malattia, l’inesorabile venir meno delle forze e delle proprie facoltà, i piccoli egoismi quotidiani di un uomo che non sa più come affrontare la realtà quotidiana. Magari è la vocazione irrinunciabile dello scrittore, che scava nel profondo dei caratteri e dei rapporti, lavora sui dettagli di un dialogo o sulle traiettorie narrative, ma non riesce a prestare attenzione alla superficie… E, allora, la sfida di Florida sembra essere quella di conferire una verità ulteriore, sangue e carne alla storia. Quell’umanità profonda, che ritroviamo soprattutto grazie a Jean Rochefort, che fa appello alle sue doti infinite per resistere ai segni dell’età, ai passi lenti, alla mimica che s’appesantisce, a quell’immancabile senso di artificio che vizia i comportamenti giovanili fuori tempo massimo. Nel modo in cui il suo volto e il suo corpo restituiscono i momenti di tenerezza, di rabbia, di disperazione e imbarazzo, nel modo in cui riesce a tenere il passo, anzi a dettare il ritmo a Sandrine Kiberlain e Anamaria Marinca, ritroviamo tutto il fascino e il segreto di un arte che non invecchia.

 

Titolo originale: Floride

Regia: Philippe Le Guay

Interpreti: Jean Rochefort, Sandrine Kiberlain, Anamaria Marinca, Laurent Lucas, Clément Métayer

Distribuzione: Academy Two

Durata: 110’

Origine: Francia, 2016

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