"Fondali notturni" di Nino Russo

Un cinema del corpo quello di Nino Russo, risolto quasi sempre all'insegna di un continuo scavalcamento della materia stessa del visibile.

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Il Teatro, il Cinema. Opposti materici, diseguali porzioni di tempo accomunate dal sacro spirito della rappresentazione. Un atto è un atto, ma la sua oscenità, esibita in campo lungo nella frontalità piatta dell'occhio di chi vede, può cambiare, sublimandosi in coazione a ripetere di uno stesso processo creativo. Se il cinema nasce imitando il teatro, il teatro muore, inseguendo il sogno di poter essere filmato. Nino Russo tiene in vita entrambi, nello stesso identico tempo e soprattutto all'interno di una stessa dimensione finzionale in cui la loro coesistenza risulta possibile, anche se incerta, precaria, destabilizzante. Un cinema del corpo il suo, risolto quasi sempre all'insegna di un continuo scavalcamento della materia stessa del visibile. Quando le luci in sala ci abbandonano per eclissarsi nel fuoricampo della sala macchine, ecco che allora il girotondo di fantasmi può incominciare. Il set si trasforma in teatro, il teatro in calco malinconico di un set impossibile, abitato da voci, suoni, rumori. Sempre lontani però, sempre occultati alla vista, e rimescolati nella regione sottrattaci di quello spazio non visto, non ancora filmato. Solo il silenzio è ancora in grado di riconfigurare il disegno di una Possibilità d'essere dello scambio, del colloquio, della rappresentazione. E' nel silenzio che il venditore ambulante di sigarette sistema il suo logoro sgabello al centro di una piazza disabitata, è nel silenzio che la logorroica giornalaia sistema con cura le riviste della sua edicola. E' dalla frontalità oculare del riconoscersi spiritualità estinte che si può dare il là alla visibilità del verbo, alla sua reattività improvvisa, capace di disegnare nuovi profili oculari. Non è più teatro, non è ancora cinema. La zona liminale nasce in questo modo, si alimenta nervosamente dei detriti di un giorno passato, di un'alba lontana, di una notte appena incominciata. E' difficile restare svegli, dimenticare che un giorno c'era ancora un corpo con cui identificarsi, un corpo in cui riconoscersi desiderio d'appartenenza. I passi stanchi dell'ambulante che vende sigarette, i gesti automatici della edicolante. Non sono rimasti che loro, simulacri di un tempo impietoso che avanza calpestando i detriti di una memoria ormai labile, unici superstiti di un'umanità assente. La sintassi dialettica del teatro può incominciare. Campo/controcampo, frontalità apparente del piano totale che però nasconde sempre qualcosa. Poi la macchina da presa si dimentica di non esserci, inizia a disegnare traiettorie presenti anche in precedenza, ma semplicemente sfuggite, occultate nello spazio rifratto del fuoricampo.

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Salendo sulle quinte spoglie di un edificio in via di decadimento, si possono fare scoperte interessanti. Delle voci, una stereofonia che impazzisce per i suoni sibilanti del vociare di Edoardo De Filippo, delle stanze illuminate dal chiarore improvviso proveniente da una fonte (forse televisiva) invisibile. Una presenza è dunque ancora possibile, e con essa il riaffiorare come brezza improvvisa di un deposito di immagini ancora capaci di ricordarci chi siamo stati. Russo filma il presente esorcizzandolo in griglie semantiche assolutamente anacronistiche, e lo fa usando come sublime specchietto per le allodole il suo teatro/non teatro, un impasto di umori antichi che vengono da lontano, per sedimentarsi nella memoria come graffiti senza speranza di un tempo ritrovato.


 


Regia: Nino Russo
Sceneggiatura: Nino Russo
Fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Bruno Sarandrea
Scenografia: Giovanni Albanese
Costumi: Catia Dottori
Interpreti: Massimo Ranieri (Peppino), Ida Di Benedetto (Donna Vincenza), Pietra Montecorvino (Cantante), Raffaele Viviani (Tonino), Sergio Solli (Alberto), Alessandra Borgia (Raffaella)
Produzione: GAM FILM
Distribuzione: Lares Video
Durata: 109'
Origine: Italia, 2000



 

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