For The Time Being, di Salka Tiziana

In Concorso al Laceno d’oro 45 in streaming su mymovies. Tra le maestose montagne della Sierra Morena bruciate dal sole estivo tre donne si trovano costrette a convivere in attesa del pater familias

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Per il suo esordio Salka Tiziana, cineasta tedesca cresciuta a Barcellona, s’immerge nei luoghi della sua memoria di bambina, torna a quelle afose estati trascorse tra le valli della Sierra Morena, alla terra bruciata dal sole, alle strade polverose invase dagli animali, ai molli pomeriggi passati in piscina. Profumi, colori e suoni familiari compongono la sinestetica istantanea attorno a cui si costruisce la trama di For The Time Being (Tal día hizo un año, opera presentata in Concorso al Laceno d’oro 45 dopo esser stata selezionata al festival di Rotterdam ed alla 6a Settimana della Critica della Berlinale).

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Tutto ha inizio con un viaggio: Larissa ed i suoi due figli gemelli arrivano in Spagna per passare le vacanze nella tenuta in cui vivono la suocera e la cognata, nel cuore della Sierra Morena. Il marito dovrebbe raggiungerli ma un imprevisto lo trattiene. Così le tre donne ed i due bambini si trovano a dover convivere, costrette a superare le barriere linguistiche ed a creare un nuovo, inaspettato, ecosistema nel bel mezzo di una natura ostile.

Della biografia dunque non resta che una traccia, un’impressione costante, fatta di indizi disseminati qui e lì, quasi fosse un ricordo impresso sulla calda grana della pellicola in 16 mm su cui parte del film è girato. La cineasta indugia sulle sue protagoniste – tutte attrici non professioniste, eccezion fatta per Mélanie Straub – come assorta nei suoi stessi ricordi privati, lasciando sprigionare tutta la potenza di quello che si presenta come un piccolo dramma domestico, con le tre donne costrette a studiarsi, ad abitare sotto uno stesso tetto, diffidenti, in attesa che il pater familias arrivi…

Un pretesto, forse, per poter mettere in scena quello che più le preme raccontare, ovvero prima ancora che la convivenza tra persone, quella tra queste stesse e gli ambienti in cui vivono o in cui loro malgrado si ritrovano a vivere. Si potrebbe definire il film una geografia emotiva: è la natura, infatti, ripresa chirurgicamente dall’alto, con i droni, la vera protagonista del film, che si dimostra subito capace di imprigionare con facili espedienti, isolandoli ed abbandonandoli alle proprie emozioni, tutti i suoi abitanti; confondendoli anche con i suoi suoni ed i suoi miraggi. Il mistero la circonda, quasi a riecheggiare, volendo osare, il Peter Weir di Picnic a Hanging Rock.

E questo perché il destino degli uomini e delle donne nei grandi spazi selvaggi, tra le braccia della natura-madre (ma anche matrigna, come scriveva qualcuno), dove la dimensione antropica non ha ancora mostrato le sue armi più meschine, dove ci si può dimenticare per un momento che ci troviamo ormai nell’era geologica definibile come antropocene, dove tutto sembra sospeso, non può che oscillare tra claustrofobia ed agorafobia.

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