Foudre, di Carmen Jaquier

Il primo lungometraggio della regista indaga una spiritualità lussuriosa e antitetica, ma imposta un discorso che rimane incompiuto. Concorso

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“Non ho pregato abbastanza? Ho pregato male?” si chiede Elisabeth (Lilith Grasmug) nei primi minuti di Foudre, lungometraggio d’esordio di Carmen Jaquier.

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Strappata dal noviziato e incorniciata da un panorama rurale di inizio ‘900 – a cui è stata costretta a fare ritorno per lavorare i campi dopo la misteriosa scomparsa della sorella maggiore – la giovane protagonista traccia in voice over il sentiero tematico della prima metà di un film concettualmente spaccato in due. È il sentiero del dubbio, della messa in discussione e, dunque, della fede, intesa come ricerca di una verità più alta e anelito di vita.

Chi è Dio? Dove lo si può incontrare o avvertirne la presenza? Occorre arrampicarsi sugli alberi? È possibile percepirlo negli occhi di un amante e nel desiderio fisico di un altro corpo? Attraverso le parole contenute nel diario segreto della sorella, Carmen Jaquier intesse una fitta rete di antitesi – paradigmatico è il nome “Innocente” della defunta, considerata diabolica dalla comunità contadina – e guida Elisabeth nei condotti di una spiritualità lussuriosa, vibrante e inesplorata. Una terra vergine, dall’afflato paradisiaco – a tratti quasi simile a Malick – nella quale la protagonista, abbracciata dalle meraviglie del creato e dalla paradossale corporeità fuori campo della sorella, cerca risposte e una nuova identità.

Ma il gioco antitetico costruito dalla regista svizzera è, purtroppo, croce e delizia di un’opera poco equilibrata. Il film, esaurito il dubbio e consegnataci una nuova, rinata Elisabeth, si avvia, al contrario, verso un lento declino. Non  bastano alcune scene dal forte impatto emotivo – una su tutte un doloroso, ma liberatorio amplesso – per donare carattere al finale. E l’ultima inquadratura della protagonista – catturata in un campo lungo mentre vaga nella natura senza particolari punti di riferimento – funge da cartina al tornasole della fatica della regista nel concludere degnamente un discorso ben impostato.

Di Foudre rimane comunque una sensazione di dolce irruenza, probabilmente incompiuta, ma capace, in più frangenti, di essere ricordata.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
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