Fragile Memory, di Igor Ivanko

Il regista ucraino mette al centro il problema della memoria attraverso l’immenso archivio fotografico di suo nonno, il direttore della fotografia Leonid Burlak. Dall’UnArchive Festival di Roma

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Nel documentario Fragile Memory (2022), già premiato al Krakow Film Festival e al Sarajevo Film Festival, si ritorna a porre al centro del dibattito l’essenza stessa del cinema: la memoria, l’oblio e il confronto tra ciò che è stato e ciò che sta per arrivare. Igor Ivanko, giovane filmmaker ucraino, sfrutta l’immenso archivio fotografico di suo nonno Leonid Burlaka, rinomato direttore della fotografia, allo scopo di ricostruire una memoria, sia sovietica che ucraina, lunga più di 50 anni. A tal proposito lo stesso regista ha dichiarato: “L’archivio cinematografico di mio nonno è unico perché è personale oltre che professionale”. La figura di Leonid Burlaka è inevitabilmente legata alla città di Odessa. Quest’ultima è inquadrabile come il centro propulsore del cinema dell’Est Europa con i suoi Odesa Film Studio inaugurati nel 1919. Qui, Burlaka lavorò a film come Train to Farewell August (1971) e la miniserie The Meeting Place Cannot Be Changed (1979), che diventerà un vero prodotto di culto in URSS.

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Ivanko, attraverso il dialogo con suo nonno e attraverso il materiale fotografico, riesce a farsi strada nella vita e nell’industria cinematografica dell’URSS. Da un lato, vengono messe in luce le limitazioni del sistema sovietico in termini di libertà e espressione ma, dall’altra parte, emerge un senso di completezza legato a un sistema che era capace di produrre e distribuire cinema in tutti gli angoli dello Stato avvicinando in tal modo giovani e cittadini alla settima arte.

Tuttavia, dopo questo periodo di crescita, arrivò il declino e l’URSS crollò definitivamente nel 1991. Gli Odesa Film Studio saranno pressoché abbandonati e molti lavoratori perderanno il lavoro. Qui la memoria inizia a incrinarsi lasciando spazio all’oblio, alla dimenticanza e alla barbarie. Una delle frasi più frequenti del documentario pronunciate da Leonid Burlaka è “io non ricordo”, quasi come se la sua malattia di Alzheimer arrivasse a trasformarsi in qualcosa di collettivo, generale, politico. L’incapacità degli esseri umani di giungere a una sintesi nel percorso della memoria, ovvero l’andare a rimuovere il difetto del passato allo scopo di conservare il meglio viene il più delle volte ridotto a una strumentalizzazione brutale dell’antico che deve essere totalmente rimosso ignorandone gli aspetti positivi.

Nonostante tutto ciò, il regista riesce a far funzionare la sintesi del suo discorso andando a rimontare l’archivio del nonno in proporzione al mondo contemporaneo. Pertanto, egli riprende gli elementi della memoria, li salva dall’oblio e li ripropone in una mostra fotografica nella città di Kiev, riuscendo in tal modo a unire ciò che era prima con tutto ciò che il futuro può diventare. Il lavoro di questo giovane regista ucraino non risulta banale e asettico, ma riesce a dare voce a una serie di questioni collettive e politiche che l’Ucraina e la Russia contemporanee dovranno affrontare nei prossimi decenni.

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