FRANCE CINÈMA 2005 – Eric Rohmer o della "scrittura filmica"

La ventesima edizione di "France cinéma" ha dedicato una tavola rotonda all'opera del grande cineasta francese. Un'occasione imperdibile per illuminare gli angoli più nascosti di uno dei padri della Nouvelle Vague.

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Si è svolta sabato 5 novembre dalle ore dieci e trenta fin quasi al primo pomeriggio la tavola rotonda "Eric Rohmer scrittore/cineasta" organizzata da Aldo Tassone nell'ambito della ventesima edizione del Festival "France cinéma". Nella splendida cornice della biblioteca dell'Institut Français di Firenze, questo appuntamento di approfondimento dell'opera di uno dei padri fondatori della Nouvelle Vague ha visto la partecipazione di ospiti importanti e prestigiosi come i critici Bruno Torri, moderatore del dibattito con lo stesso Tassone, Joël Magny, Flavio Vergerio, Ermanno Comizio; i docenti universitari Giorgio Tinazzi e Giovanna Angeli e gli artisti del mondo del cinema come la produttrice dei film di Rohmer Françoise Etchégaray, l'attrice Florence Darel, ed i registi Claude Lelouch, Emmanuel Carrére e Marie Binet, anche autrice di uno splendido documentario sugli attori "rohmeriani" presentato in anteprima nelle giornate fiorentine ed intitolato Les contes secrets, ou les rohmériens.

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Dunque quasi tre ore di appassionata discussione per mettere on focus anche le zone d'ombra meno indagate o approfondite di un regista pieno di riflessi e bagliori nascosti come Eric Rohmer. Tre gli aspetti più originali dell'opera dell'autore francese emersi dal dibattito: l'inattesa verve comica o burlesque di un pittore dello schermo tradizionalmente considerato rigoroso e fin troppo austero; il rapporto privilegiato che le inquadrature rohmeriane intrattengono con l'elemento spaziale della rappresentazione; e, last but not least, i punti di contatto pratici e teorici che passano fra il Rohmer critico cinematografico (…quando ancora sulle pagine dei Cahiers amava firmarsi col nome di battesimo Maurice Schérer) e il Rohmer cineasta. Il primo aspetto è stato illuminato dall'intervento dalla francesista Giovanna Angeli che, soffermandosi sul rapporto fra cinema e letteratura, ha mostrato l'intrinseca comicità di alcune sequenze rohmeriane analizzando alcuni "passi" filmici di un'opera troppo spesso dimenticata come Perceval le gallois tratto dai versi di Chrétien de Troyes e di un film più recente come L'anglais et le duc.

Un gioco sottile fra detto e non detto, obbligo di parlare e necessità di tacere che trasforma i corpi di Perceval/Fabrice Luchini e dei nobili francesi "prima della Rivoluzione" in oggetti comici di rara potenza; in macchine cinematografiche, in senso deleuziano, pronte a rivelare la presenza materica di un sense of humour che emerge soprattutto nelle ultime pellicole di Rohmer, in quei "racconti delle quattro stagioni" che, fra un dialogo sul trascendentale kantiano e qualche riflessione sul senso della vita, offrono alcuni "siparietti" di sottilissima e autentica ironia. Dai corpi degli attori agli spazi delle inquadrature: Joël Magny, profondo conoscitore del cinema francese e critico dei "Cahiers du cinéma", ha posto l'accento sull'utilizzo rohmeriano della componente spaziale nel racconto filmico. Autore di un bellissimo libro, recentemente tradotto in italiano e non a caso intitolato "Il punto di vista. Dalla visione del regista allo sguardo dello spettatore", Magny ha sottolineato come Rohmer preferisca lavorare sulla profondità di campo e l'organizzazione spaziale dell'inquadratura piuttosto che sul montaggio. Ogni punto di vista sulla storia emerge da una lunga costruzione in fase di découpage, di "scrittura filmica", mentre all'arte del montaggio spetta solo costruire i passages, gli itinerari che trasportano i corpi dei protagonisti da un luogo all'altro. D'altronde, ha osservato subito dopo Giorgio Tinazzi, l'attenzione di Rohmer per lo spazio nasce in tempi "antichi", in quella monografia (recentemente ristampata anche in italiano) che il cineasta ha dedicato, testualmente, a "L'organizzazione dello spazio nel Faust di Murnau". Ecco allora Hitchcock e Murnau, Rossellini e Renoir: Tinazzi ha ricostruito l'itinerario del Rohmer critico cercando di scorgere influenze e derive autoriali nell'opera successiva del cineasta. Una serie di film che si presenta come un corpus, un unico viaggio segnato da tante tappe e dalla costruzione di uno stile rigoroso, caratterizzato da "invarianti" e costanti della messa in scena: il realismo inteso rossellinianamente come "sollecitazione della realtà"; la falsa semplicità di una regia assai complessa che punta dritto il Renoir de La régle du jeu; e, naturalmente, la capacità tutta hitchcockiana di nascondere la macchina da presa creando piccoli grandi apologhi dove lo sguardo del regista ama celarsi dietro il velo di ogni inquadratura. 

Poi è toccato ai collaboratori di Rohmer raccontare le loro esperienze sul set. Dalla produttrice Françoise Etchégaray che ha illustrato il "metodo" Rohmer, quella voglia di iniziare un film aspettando metamorfosi e dialoghi sul set senza una storia predefinita, ad un'attrice come Florence Darel (la ricordate nello splendido Racconto di primavera?) che ha sottolineato la paradossale arte della precisione e della improvvisazione sperimentata in un lavoro quotidiano dove cinema e vita si intrecciano continuamente. Infine i registi e i cineasti che hanno conosciuto l'uomo o hanno incontrato l'opera di Rohmer: compagni d'avventura come Claude Lelouch o autori lontani come Mario Brenta e il giovane Emmanuel Carrére, tutti attenti a precisare la grande passione teoretica di Rohmer, la capacità di girare dei piccoli film in forma di saggio, quasi dei pamphlet di immagini dove la parola si smaterializza in frammenti di pura grazia visiva. Senza dimenticare naturalmente l'armonia e la "geometria delle passioni" che trasformano ogni opera di Eric Rohmer in un magnifico gioco d'amore attraversato da sguardi e sospiri, pause di riflessioni e lunghi, magici ed intensi flussi di parole.

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