Franco Ferrini, dimensione cinema (2)

"Diciamolo: la commedia è l'unica cosa che in Italia si produce stabilmente al cinema, il fatto di saper scrivere quel tipo di film io la considero per il mio lavoro una sorta di "assicurazione sulla vita"…" – Conversazione con Franco Ferrini, sceneggiatore eccellente del cinema italiano di genere. (2a parte)

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Negli stessi anni di Dèmoni e Phenomena lei ha scritto il fortunato esordio nel thriller dei fratelli Vanzina: Sotto il Vestito Niente, come andò? Fu una cosa abbastanza naturale?

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La sceneggiatura iniziale, tratta alla lontana da un romanzo dell'epoca, era molto diversa da quella finale. La riscrissi completamente dopo aver fatto delle proposte ai Vanzina, il risultato finale è quello che si è visto al cinema. Tra i cambiamenti ricordo quello fondamentale della modella che aveva un contatto medianico, paranormale, col fratello gemello. Nella prima stesura questo non c'era e addirittura l'assassino era mosso da dei motivi pecuniari, ciò non mi piacque per nulla. Dissi ad Enrico e Carlo che, quando l'assassino è mosso da un interesse in denaro, al cinema non si spaventa nessuno. Soltanto se ci fosse stato un pazzo, dietro gli efferati omicidi, avremmo strappato qualche brivido agli spettatori. Ci ispirammo al caso di Terry Broome. Abbiamo usato materiali vari: il soprannaturale, la cronaca e il citazionismo nei confronti di altri film.


 


Ad esempio?


 


Indubbiamente Brian De Palma che in quegli anni aveva girato Omicidio a Luci Rosse ma anche Mario Bava e Dario Argento. Noi avevamo nel cast tecnico il bravissimo musicista Pino Donaggio che aveva fatto le musiche proprio del film di De Palma. C'era un problema: nel film avevamo usato per il finale un trapano elettrico, oggetto che appare anche in Omicidio a Luci Rosse, lo avevamo messo senza saperlo e chiedemmo a Donaggio come l'avrebbe presa De Palma. Il musicista ci disse che proprio Brian è il primo "ladro" di scene e situazioni, così lasciammo il trapano e il risultato finale diede ragione a Donaggio.       


 


A Dario Argento piacque Sotto il Vestito Niente?  


 


Non so ma credo che lo odi. Lui non parla molto dei film degli altri ma una volta fece un commento non proprio felice. Comunque niente di particolare, davvero non so.


 


Subito dopo venne Opera (1987) un film, di Argento, davvero molto particolare perché ambientato tutto nel teatro regio di Parma.


 


Ci furono dei problemi per la scelta dell'attrice perché Dario voleva una vera cantante d'opera. Tentammo con Cecilia Gasdia perché con lei Argento aveva preparato un lavoro per lo Sferisterio di Macerata. E' da li che nacque l'idea di un film sull'opera. Ma la Gasdia non era molto bella, non era adatta per i primi piani. Le consigliammo di fare qualcosa con i denti, perché erano messi veramente male, ma lei si rifiutò perché se avesse cambiato i denti le si sarebbe cambia anche la voce. Dopo tante attrici, tra cui la De Sio, scegliemmo la Marsillach che ovviamente era doppiata.     

Porta davvero sfortuna il Macbeth?


 


Questo è indubbiamente noto nell'ambiente tanto che non la nominano nemmeno, la chiamano "l'opera scozzese".  


 


Nel 1987 lei esordisce dietro la macchina da presa con il thriller Caramelle da uno Sconosciuto, fu un passaggio naturale quello dalla tastiera alla pellicola?


 


Ebbi l'occasione di fare un film da regista ma poi cercai di fare una commedia e non mi riuscì. Ricordo che il rapporto con le interpreti fu abbastanza buono. Erano tutte donne, il film era girato di notte e parecchie volte al freddo. Ci furono problemi con qualcuno ma niente di specifico.


 


Dopo, lei seguì Dario in America per Due Occhi Diabolici?


 


Si, da un racconto di Edgar Allan Poe scrissi l'episodio "Il Gatto Nero". Abbiamo usato però anche molti altri racconti di Poe in quella sceneggiatura, un centone di alcuni segmenti e citazioni. Il protagonista del film è un personaggio vero: un reporter di cronaca nera che riusciva ad arrivare sempre prima dei colleghi sul luogo del delitto perché aveva una radio con lo scanner collegato alla stazione della Polizia. Ne è stato fatto anche un altro film: Occhio Indiscreto (1992) di Howard Franklin con Joe Pesci nel ruolo che nel nostro film era di Harvey Keitel.


Romero non aveva voce in capitolo nella realizzazione del nostro film. Lui voleva fare, sempre da Poe, "La Maschera della Morte Rossa" sostituendo la peste del racconto originale con l'AIDS ma alla fine ripiegò sul caso di "Mr. Valdemar".


 


C'erano dei forti riferimenti a Hitchcock, specialmente nelle scene nella casa del reporter.


 


Sicuramente, questo è inevitabile quando in un film c'è un assassino e quindi una tensione in crescendo. Prendere a modello un maestro della suspense come Hitch è un obbligo.


 


Cosa "non" voleva fare Argento con i racconti di Poe?


 


Un film alla Roger Corman, alla I Maghi del Terrore, infatti abbiamo ambientato tutto in epoca moderna facendo il possibile per attualizzare al trama e gli ambienti.

Perché subito dopo questo film scrisse Vacanze di Natale '90? Non le sembra di aver interrotto un ciclo thriller/horror?


 


Ci tengo a precisare che io non ho mai smesso di fare delle commedie. In realtà quando scrivevo i miei thriller già lavoravo a parecchie commedie. Mi considero abbastanza eclettico da poter lavorare ai drammi come alle commedie. Diciamolo: la commedia è l'unica cosa che in Italia si produce stabilmente al cinema, il fatto di saper scrivere quel tipo di film io la considero per il mio lavoro una sorta di "assicurazione sulla vita". Per uno sceneggiatore questo è importante.


 


E pure tornò a scrivere un thriller come Trauma?  


 


Un film che apre una svolta drammatica nella filmografia di Dario. L'uso di T.E.D. Klein nella stesura dello script finale è dovuto al fatto che quando si gira un film in America è di dovere un adattamento, ma il suo apporto non fu assolutamente rilevante. Anche in C'era una Volta in America, Stuart Kaminski, fece una revisione per il pubblico anglofono ma di nessun importanza.


 


Perché decideste di fare un film senza censura, per tutti?


 


In realtà lui soffre la censura. Non sopporta i problemi legati al visto per i minori di 18 anni. Ma anche logiche di mercato dettate dalle necessità del momento. I soldi determinano l'estetica purtroppo, ma ci possiamo rifare con i DVD che reintegrano le scene eliminate. Di recente ho visto in tv Non Ho Sonno e ci sono rimasto veramente male. Tagliato fino all'incomprensibile.


 


Come reagisce alla censura uno sceneggiatore?


 


Malissimo. Ma più di lui soffre il regista, Argento si indigna e non capisce il perché dei tagli. Il discorso è annoso ed implica vari problemi.


 


E con La Sindrome di Stendhal? Anche qui c'è un forte elemento drammatico.


 


I primi trenta minuti sono stupendi. La Sindrome doveva essere mostrata in tutta la sua forza e il suo delirio, la prima mezz'ora del film è come un documentario sul male. Poi il film diviene un thriller e quindi il "documentario" viene innestato sulla ricerca di un assassino. Il rapporto tra i due protagonisti è come quello tra gatto e topo, attrazione e repulsione. La protagonista è malata, per la prima volta in un film di Dario abbiamo a che fare con qualcuno vittima dei suoi dèmoni e assistiamo al suo lento declino che culminerà col finale. Anche la protagonista di Phenomena è una diversa ma ha come un superpotere nei confronti negli insetti, mentre l'Anna de La Sindrome di Stendhal è diversa in quanto malata, non ha poteri ed è vittima di se stessa. Qui c'è il dramma mentre in Phenomena tutto è fantastico, sembra un film di Walt Disney.


 


Dario ne trasse anche un romanzo, pubblicato da Bompiani.


 


Si, facendo una novellization della sceneggiatura. Si intitolava semplicemente "La Sindrome". Un'operazione che qualcuno fece anche con C'era una Volta in America.


 

C'è una differenza tra gli ultimi due film di Dario: Non Ho Sonno e Il Cartaio?


 


Non Ho Sonno è il classico film giallo, molto vicino ai capolavori degli ani '70 dello stesso Dario. Ci sono i gialli, l'assassino introvabile e gli enigmi da risolvere. Carlo Lucarelli collaborò relativamente allo script. Incontrò Dario al festival del noir e gli diede dei consigli sulla polizia e i loro metodi.


 


Come risponde alle critiche su Il Cartaio?


 


Il pubblico non ha reagito male al film. Al cinema è andato molto bene, e poi non è detto che tra qualche anno anche la critica lo rivaluti. E' il solito problema: in Italia i critici maltrattano Dario mentre all'estero i giornali lo adorano. Morandini ad esempio non è mai molto dolce. L'altro giorno in libreria ho sfogliato il suo dizionario dei film per leggere qualcosa scritto su Phenomena e ci ho trovato che il film ha la pecca di avere diversi finali, 4 o 5 addirittura. Questo per lui è un difetto, ma c'è in Phenomena un solo grande finale, protratto quasi in tempo reale con una suspense tremenda. Io l'ho visto in sala e il pubblico batteva le mani. Noi abbiamo fatto bene ad inserire quei famosi "finali", ciò adesso è quasi un obbligo nella ciclicità dei film, in realtà il nostro era un messaggio: il male non muore mai. Perché quando il mostro sembra morto d'improvviso risorge. Questa cosa non è fatta solo per far piacere al pubblico.


 


Il Cartaio è un film diverso anche tecnicamente per Argento?


 


La fotografia è particolarissima, il direttore era un belga che praticamente ha sfruttato solo l'illuminazione naturale delle scene. Ma quando uno scrive non pensa a queste cose qui, sono cose che risolve il regista sul set.


 


Come è stato scrivere un film sul web e sulle nuove tecnologie?


 


Ci siamo documentati moltissimo. Quando ci venne in mente questa idea abbiamo convocato un ingegnere informatico al quale abbiamo sottoposto il tutto, lui ci disse che era possibile che il cartaio riuscisse a fare ciò che nel film sembra assurdo. Chiedemmo se tutto era credibile. Abbiamo chiesto aiuto ad un esperto di computer che ci ha aiutato nella scrittura e nella realizzazione delle scene. Il film era thriller e l'intensità saliva quando il cartaio si collegava, ma al cinema è brutto il vuoto ed abbiamo contrapposto questa paura al jingle allegro del programma con cui l'assassino gioca. Una cosa molto ironica, voluta appositamente da Dario.


 


Vorrei Ci parlasse di Occhi di Cristallo, questo film diretto da Puglielli che si è visto a Venezia ed oggi esce al cinema.  


 


Il film di Eros Puglielli è tratto da un romanzo, "L'Impagliatore", dal quale abbiamo dovuto cambiare parecchie cose. Iniziando dal titolo troppo simile a L'Imbalsamatore. Con questo film è cambiata qualcosa… pare che questo genere adesso torni di moda, vada bene, e forse avremmo un ritorno di certi registi reduci da film d'autore. Speriamo bene. Forse il film di Puglielli può tirare su la baracca.


Spero che abbia successo, oggi i film italiani vanno maluccio e i produttori non sanno cosa fare. Se non ha successo questo film si chiude la strada del thriller.


 


Le piace come è girato?


 


Molto. Sembra un film americano, è girato benissimo e merita un certo successo.


 


Come è stato adattare il romanzo?


 


Non è sempre facile questa operazione. Si trattava di togliere molto dal romanzo e cercare la linea giusta del racconto. Secondo me i film, per funzionare bene, devono essere così lineari da potersi raccontare con poche parole. Se c'è un problema durante il riassunto del film vuol dire che questo non funziona. Il romanzo non si poteva raccontare in poche parole così si è dovuto semplificare.


 


Vuole provare a fare questa operazione proprio con questo film?


 


Certo, allora: è la storia di alcuni omicidi e un detective dovrà trovare una verità scomoda, che risiede nel passato… non voglio dire di più.


 


Il film tende al cinema di Argento?


 


Sicuramente, credo che lo stesso autore del romanzo si sia ispirato ai suoi film. Dario è un maestro, un grande maestro, e non è facile non prendere in considerazione i suoi film quando si cerca di fare un giallo. Se si deve fare un film di genere bisogna ispirarsi ai migliori. Il cinema che nasce dal cinema è la base del "genere". Questo non piace ad alcuni miei colleghi come ad esempio Furio Scalpelli, che afferma l'inutilità di questa cosa. Secondo lui è una pratica perversa e i film dovrebbero nascere tutti dalla realtà, poi però a ben vedere la realtà rientra anche nei film che nascono dai film. "L'Impagliatore" somiglia ad altri romanzi. Ciò vale anche per il film. Ma è quasi una regola per tutti i generi.


 


Quali progetti ha in serbo per gli amanti del giallo?


 


C'è ancora Dario nel mio futuro. Abbiamo scritto un film per la tv che si chiama Ti Piace Hitchcock? e li ci sarà da divertirsi perché sarà infarcito di citazioni dal cinema del maestro inglese. Una sorta di ritorno alle origini aspettando che entri in produzione La Terza Madre, un lavoro che riporterà Argento al cinema.


 

 


La prima parte dell'intervista

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