Franco Ferrini, dimensione cinema

"Diciamolo: la commedia è l'unica cosa che in Italia si produce stabilmente al cinema, il fatto di saper scrivere quel tipo di film io la considero per il mio lavoro una sorta di "assicurazione sulla vita"…" – Conversazione con Franco Ferrini, sceneggiatore eccellente del cinema italiano di genere. (1a parte)

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Notizie sull'autore


Nato a La Spezia il 5 gennaio 1944, lo sceneggiatore Franco Ferrini è uno degli autori più noti e bravi del cinema italiano. Dopo una lunga attività come organizzatore di cineclub, intraprende con passione il mestiere di critico, soprattutto sulla rivista "Cinema & Film" (Tra i suoi scritti ricordiamo, "I generi classici del cinema americano", "L'antiwestern e il caso Leone" (Bianco e Nero) e "John Ford" (La Nuova Italia). Nel 1975 inizia l'attività di sceneggiatore, dedito ai generi ma fortemente innamorato delle storie drammatiche e delle commedia nello stile nostrano, lavorando con registi del calibro di Alberto Lattuada, Sergio Leone e Dario Argento, restando uno dei pochi in Italia ancora capace di scrivere e vedere sullo schermo, coraggiosamente, film thriller a tinte forti. In questa lunga intervista, fatta all'indomani dell'uscita nelle sale di Occhi di Cristallo – la sua ultima sceneggiatura portata sullo schermo da Eros Puglielli – Franco Ferrini ci parla della sua filmografia in generale, dei suoi metodi di lavoro e soprattutto della sua grande passione nei confronti del cinema di Dario Argento, regista col quale ha stretto da anni un duraturo rapporto di collaborazione.       


 


 


Come si è sviluppata la sua carriera di sceneggiatore? Ci parla un po' dei suoi inizi?


 


Mi sono sempre occupato di cinema, sin dagli anni '70 quando ho lavorato all'organizzazione del festival di Pesaro, che veniva preparato a Roma. Era un festival molto importante in quel periodo: perché non c'era quello di Venezia, penso che fosse il più importante in Italia. Sono nato a La Spezia e stare nella capitale per me era molto importante. Facevo già dei movimenti nell'ambiente dello spettacolo, conoscevo parecchia gente del cinema che a volte mi chiedevano una mano per le sceneggiature. Era il momento in cui tutti volevano fare i registi e tramite queste conoscenze mi chiesero di scrivere Poliziotti Violenti (1976) che è il mio primo lavoro. Smisi col festival di Pesaro e cercai di lanciarmi nel mondo dorato della celluloide. In realtà avevo già scritto dei telefilm per la regia di Piero Natoli, non se ne fece niente ma grazie a lui riuscì a scrivere quel film. Non era un soggetto mio, c'erano altri autori.


 


La sua tesi di laurea è stata su Alain Robbe – Grillet…


 


Si, l'ho anche pubblicata con le edizioni del Castoro. Ho scritto quel testo perché volevo evitare di andare a fare degli studi a Parigi su qualche autore sconosciuto che mi sarebbe stato assegnato. Serviva il cattedratico per avere dei materiali per scriverci un giorno, eventualmente, un libro. Anche perché Robbe – Grillet aveva fatto qualche film e l'argomento mi interessava. Oggi ho rivalutato questo autore, soprattutto il suo cinema che mi sembra non valga un gran che.

Le piaceva più come regista o come scrittore?


 


Mi interessava come scrittore, era intrigante, a quei tempi era una sorta di fulmine a ciel sereno con i suoi romanzi senza trama che colpirono molto l'intellighenzia. Io ne fui in qualche modo "vittima" ma riuscì a far passare la cosa all'università dove questo tipo di tesi erano molto rare, in quel periodo il cinema non era materia di studio. Comunque oggi è meglio leggere il "Don Chisciotte" che Robbe – Grillet. I suoi film sono datati e non valgono quasi niente, sono un grande gioco.


 


Tranne L'Anno Scorso a Marienbad?


 


Il discorso è diverso, lui firmò solo la sceneggiatura di quel film che fu diretto da Alain Resnais. Credo che dopo abbia continuato a fare il regista proprio in virtù di aver scritto questa pellicola.


 


Torniamo al suo cinema: nel 1980 c'è La Cicala e quindi il suo incontro con Alberto Lattuada. Come sono stati i rapporti con questo regista?


 


La Cicala è stato scritto nel 1978 ed è il mio primo film importante, se non altro perché dietro la macchina da presa c'era un maestro come Lattuada. E' tratto da un romanzo, mai pubblicato, di Natale Prinetto e della sua compagna Marina D'Aunia che comunque compaiono nei titoli di testa. Una sorta di fotoromanzo dove c'è molto erotismo, quando scrivevo la sceneggiatura dicevo ad Alberto che era un po' come i romanzi di James M. Cain, come "Il Postino Suona Sempre due Volte" e soprattutto "Il Romanzo di Mildred" da cui fu fatto anche un film (1945) di Michael Curtiz con Joan Crawford. Praticamente La Cicala era su quello stile. I rapporti con il regista erano ottimi tanto che subito scrivemmo un altro film, Una Spina nel Cuore (1987) da un romanzo di Piero Chiara. Adattai anche un altro romanzo di questo autore, sempre per Lattuada, si chiamava "Vedrò  Singapore" ma non fu mai fatto.


 


Nel 1984 lei ha scritto C'era una Volta in America per Sergio Leone…


 


Il film è uscito nel 1984 ma la sua lavorazione è durata circa dieci anni. Io iniziai a lavorarci nel '75 insieme ad altri sceneggiatori. A un certo punto il film si fermò, pareva che non si dovesse più fare, invece poi fu ripreso. Il mio apporto fu uguale a quello degli altri autori, anche se ero tra di loro il più giovane. Il film non è stato difficile, venne fatto prima un trattamento dove tutto era incentrato sul ricordo e la parte moderna dove Noodles (Robert De Niro) arriva a New York era anche essa parte del ricordo, letterariamente una sorta di Proust ne "Le Intermittenze del Cuore", cioè ad ogni cosa che vedeva associava un ricordo. Questo a Leone non piaceva perché non la sentiva una cosa sua, vicina al suo modo di fare cinema. Allora i ricordi furono smembrati dalla storia e trasformati in investigazione. In questo modo i ricordi di Noodles non sono fini a se stessi ma sono ricordi che riguardano la ricerca di una verità scabrosa. La parte moderna è in realtà un giallo, questo voleva Leone: non solo ricordi ma qualcosa che nel finale ci rivelasse qualcosa di sconvolgente.

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Come reagirono gli americani davanti al fatto che, un film sulla storia del loro paese, fosse scritto esclusivamente da italiani?


 


Venne fatta una sorta di anteprima a sorpresa, con il pubblico che entra e non sa cosa vedrà sullo schermo. Quando lessero il titolo del film e poi videro i nomi degli sceneggiatori si misero tutti a ridere. Ma il film è stato considerato anche da loro un capolavoro, quando oggi incontro qualche americano ricevo molti complimenti. Addirittura un uomo della Fox si è inginocchiato davanti a me. L'hanno rivisto in DVD e lo considerano un capolavoro anche per la sua struttura temporale, questo suo andare avanti e indietro nel tempo.


 


Ci sono stati degli sceneggiatori non accreditati?


 


Non credo, erano quelli dei credits, non di più. Tranne forse Stuart Kaminski che curò i dialoghi in inglese. Per il resto sono quasi delle leggende perché Leone, nel corso della lunghissima lavorazione del film, fece leggere lo script a molte persone. Ricordo che uno di questi sceneggiatori suggerì un'idea che per fortuna non venne presa in considerazione: voleva che Noodles (De Niro) ammazzasse, nel finale, Max (James Woods) per una questione di soldi, perché così facendo sarebbero passati al figlio. Ciò aboliva l'intera carica romantica della pellicola, dove invece Woods chiedeva a De Niro di ucciderlo per non essere ucciso, un po' come Cicerone. L'idea avrebbe rovinato il film e tutti gli sceneggiatori polemizzarono perché Leone credeva in questa cosa, forse a causa del suo grande attaccamento al denaro, peculiarità che lo avvicinava moltissimo agli americani che quando ci sono di mezzo i dollari impazziscono.


 


Come erano i rapporti con Leone?


 


Come quelli con Lattuada, molto buoni. Certo si discuteva, fare un film non è un idillio e discutere fa parte del gioco ma in linea di massima non ci furono molti problemi.


 


Dopo C'era una Volta in America iniziò il suo sodalizio artistico con Dario Argento?


 


Mi piaceva molto il cinema di Argento e lo cercai in quegli anni per fargli leggere un soggetto che avevo scritto. Lui lo lesse e disse che "era scritto bene". Quando un regista fa questa affermazione vuol dire che il soggetto non gli è piaciuto, e difatti disse che i suoi lavori partivano solo da sue personali idee. Comunque collaborai al suo Phenomena e così nacque la nostra amicizia.


 


Phenomena era più un thriller o un horror?


 


Lui aveva già fatto horror: Suspiria e Inferno erano stati dei capolavori, quindi questo film è una riuscita contaminazione tra due generi. La famiglia è inevitabilmente inserita nel contesto. Il rapporto madre e figlio è molto simile a quello di Profondo Rosso.

E' quasi un remake di Suspiria? Anche lì c'era il viaggio della protagonista dall'America alla vecchia Europa…


 


Dario non girò il film in Italia ma in Svizzera per farlo diventare un prodotto di valore internazionale, il risultato gli diede ragione infatti è stato un gran successo di pubblico. L'attrice protagonista è quella Jennifer Connelly che già stupì il pubblico proprio in C'era una volta in America. Argento fece il casting a New York e tra tante ragazzine scelse lei, scartando addirittura la figlia di Liv Ullmann.


 


In quegli anni Argento produsse anche un film di grande successo come Dèmoni di Lamberto Bava.


 


Si, io riscrissi lo script cercando di ordinare meglio le idee della sceneggiatura originale. Feci questo per la volontà di Dario che voleva assolutamente una riscrittura, in virtù delle buone idee del soggetto. Dopo successe un mezzo pasticcio, perché in qualche modo il risultato finale era diverso da quello auspicato dagli autori del soggetto. Ci fu una mezza lite che però non mi riguardava assolutamente. Le cose andarono però bene, il risultato economico fu tanto incoraggiante che scrivemmo subito tutti insieme Dèmoni 2.


 


Si doveva girare anche il terzo capitolo, vero?


 


In realtà fu realizzato solo La Chiesa e fu diretto da Michele Soavi. Non ero presente sul set, che credo si trovasse in Cecoslovacchia, Anche li ci fu un mezzo pasticcio tra autori del soggetto e della sceneggiatura, ma per fortuna tutto si risolse grazie a Dario. Non so nulla, assolutamente, su un eventuale capitolo girato su un aereo e prodotto da Cecchi Gori.


 


Avrebbe voluto lavorare di più con Soavi?


 


Dopo La Chiesa ci siamo persi di vista ma ultimamente abbiamo scritto insieme il film che dovrebbe riportarlo, dopo tanta televisione, finalmente di nuovo al cinema. Si tratta di Arrivederci Amore, Ciao un noir molto cruento tratto da un romanzo di Massimo Carlotto.


 

 


La seconda parte dell'intervista

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