Fratelli di sangue, di Pietro Tamaro

L’asciuttezza, sia narrativa che registica, avrebbe supportato l’inesperienza e la smania tipica di chi ha quell’ansia di intrattenere che danneggia uno studio più preciso sui mezzi del genere

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Roma. Dopo dieci anni di prigione, Antonio, detto il Camaleonte, ottiene di nuovo la sua libertà e si trova di fronte ad un bivio: riafferrare le redini della sua attività criminale per vendicarsi di chi gli ha strappato via la sua famiglia oppure iniziare un processo di redenzione. Nel frattempo, un commissario di polizia, denominato la Lupa, si scontrerà con Antonio e Don Ferdinando, boss della ‘ndrangheta, per estirpare un traffico di droga e porre un freno ai conseguenti assassinii.

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Pietro Tamaro firma la sua opera prima, Fratelli di sangue, tentando l’operazione della miscela multistrato: gangster movie, crime e melodramma famigliare. La fonte più corposa è chiaramente la fiction all’italiana, in particolare quella Mediaset, la quale da anni a questa parte predilige il racconto della malavita italiana e la battaglia ingaggiata contro di essa. Inoltre va sottolineato che Karim Capuano, interprete e produttore della pellicola, è stato uno fra i primi a sedere sul trono dorato di Maria de Filippi.

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C’è un evidente aspetto di poca dimestichezza formale nelle scelte del regista, dalla suspense malamente condotta a scelte più coerenti al prodotto videoclip. Inoltre il low budget si dimostra chiaramente un ostacolo. Moltissimi, fra progetti sperimentali ed opere prime, finiscono per soffrire le risorse inadeguate, specialmente nel nostro paese. E sono rare le occasioni in cui l’approssimazione viene offuscata dalla creatività.

Tamaro sembra realmente interessato alla sua vicenda, cerca di dipanarla meglio che può, ma l’ansia di intrattenere danneggia uno studio più preciso sui mezzi e il linguaggio che il cinema mette a disposizione. Non bisogna sottovalutare come una semplice inquadratura sappia evocare un’atmosfera, senza dover ricorrere alla dilatazione, più specifica di lavori “diluibili” come la serialità. La carne sul fuoco è tanta. Oltre ai protagonisti abbiamo una schiera di ruoli secondari che cercano il loro posto, ma sono rinchiusi in una presenza/assenza causata da una drammaturgia esile. L’asciuttezza, sia narrativa che registica, avrebbe supportato l’inesperienza e la smania tipica di chi muove i primi passi.

screenshot-2016-11-10-18-57-25Tamaro possiede un motore espressivo che non si accompagna ad uno stile abbastanza definito, uno stile in grado di reggere una storyline a più facce. Gli va certamente riconosciuto il coraggio, soprattutto in un paese che corre pochi rischi quando si parla di allontanarsi dai generi principi: commedia e dramma. Sebbene sia la sfera tecnica che quella artistica abbiano faticato a decollare, speriamo in un altro ibrido alla Fratelli di sangue, ma applicato ad un metodo più rigoroso.

 

 

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