Fried Barry, di Ryan Kruger

Il ritratto notturno di Cape Town, sotto gli occhi tossici di un fritto Gary Green e un acerbo Ryan Kruger al suo esordio nella sezione Stanze di Rol del #TFF38

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Al Torino Film Festival arriva l’esordio al lungometraggio del regista inglese Ryan Kruger, ormai trapiantato da anni in quel Sudafrica violento e allucinatorio che cerca da anni di raccontare tra corti, videoclip e Barry il “fritto”. Nello spazio dedicato alla ricerca e al genere le stanze di Rol, a cura di Pier Maria Bocchi, il regista originario di Liverpool col suo film mostra il suo passato da regista di videoclip e quel mondo delle stradine buie di Cape Town con quel feticismo zef alla Die Antwoord subito riconoscibile se si vuole parlare di cultura urbana sudafricana.

 Qualsiasi cosa sia così tanto povera, dura e spigolosa come il volto di Gary Green, diventa automaticamente sexy e rock. Trasformare l’imperfezione, il brutto, in fancy; questa è la prerogativa della zef culture e questa è la prerogativa di Ryan Kruger che fa il suo film povero, sporco, violento e gratuito; e lo fa nella maniera più alla moda possibile. Di fatto senza sperimentare nulla, dando in pasto al proprio pubblico un po’ di street food a marchio McDonald cerca di riportare sugli schermi di casa quei midnight movies a basso budget che tanto divertivano gli appassionati del genere, ma i risultati non sono dei più convincenti.

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Fried Barry è lo sviluppo di un corto del 2017 di Kruger, che racconta la storia di un eroinomane che viene rapito da un’astronave aliena. Qui un alieno si impossesserà del corpo del tossicodipendente per scendere e osservare la vita che si fa tra le strade di Città del Capo. Gary Green, qui al suo primo ruolo da protagonista, diventa il Bruno Ganz del regista inglese. Come l’angelo di Il cielo sopra Berlino scende tra la folla per osservare tutte le stranezze e le abitudini del genere umano con cui, al contrario di Ganz, entra volentieri in contatto. Ma l’alieno dentro Barry in questo viaggio lisergico tra sesso, droga e sangue non ha previsto i limiti fisici del corpo umano e porta al punto più estremo la sua prima esperienza con il pianeta Terra. Anche Kruger porta all’estremo la messa in scena cercando di rattopare qua e la una storia che perde tutto il suo appeal dopo pochissimi minuti. Soprattutto per chi è già più avvezzo a questa estetizzazione dello schifo il lavoro ipercinetico sotto acidi di Kruger potrebbe risultare deludente; con i soli pochi momenti di puro trash costruiti intorno al faccione di Green a tener botta.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (2 voti)
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