Fumer fait tousser, di Quentin Dupieux

Il cineasta francese continua il suo discorso surreale con una storia di supereroi destinati a salvare il mondo, ma incapaci di badare a se stessi. Diverte in modo grottesco. Fuori concorso

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Fantastico, irriverente, grottesco. Quentin Dupiex come al solito rimbalza sul reale e lo traveste in una forma beffarda, declinato in espansione favolosa. Stavolta si serve di un gruppo improvvisato di supereroi con un costume da Power Ranger, la Tabac Force (l’insieme tossico dei componenti del tabacco, mercurio, nicotina, metanolo, ammoniaca e benzene) per combattere una guerra indisciplinata contro dei nemici altrettanto bizzarri dall’aspetto disgustoso ed abnorme.

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Dando seguito alle parole pronunciate prima dell’uscita di Mandibules, il regista spinge il suo cinema verso un discorso comico ma ancora surreale, lasciando al possibile di prendere il sopravvento sull’improbabile. Il risultato è in apparenza meno criptico, aggancia ogni appiglio, anche minimo, per sviluppare una digressione isolata e finire in una bellezza caotica di un mondo ormai incapace di osservare lo straordinario. L’anestesia prevede la distruzione, di ridurre letteralmente a pezzi la routine diligente, salvo precipitare di nuovo in un eccesso psichico degradante che apre le porte della follia. Una dietro l’altra le storie sembrano indicare una direzione, suggerire una fuga, poi finiscono in un loop disgraziato e la morte coglie la metafora di un insuccesso scritto già nei titoli di testa. Quanto c’era di nascosto nei primi lungometraggi, pensiamo a Rubber o a Wrong, dominati da un’atmosfera misteriosa ed impostazione non sense, ha lasciato il posto al suo alter ego esplicito. Lo specchio riflette il lato macroscopico adesso, ugualmente estremo, ugualmente libero di immaginarsi paladino dell’inutile, costretto a volare con delle ali spuntate. Lì nel mezzo, sopraffatto in entrambi i casi, c’è l’uomo, obbligato a definirsi in maschera per scongiurare il macello, cosciente del baratro. E di quelle catene che per quanto possano essere lunghe, restano tali.

Impossibile fornire una lettura univoca di una rappresentazione volutamente frammentaria, scomposta a livello organico. Gli argomenti toccati vanno dall’amore, alla famiglia, all’amicizia. Un cinema del quale è possibile godere solo a patto di accettare la mancanza di regole, la struttura anomala, il gioco sottinteso in un ritmo musicale di note martellanti, i requisiti minimi di ingresso in un universo adiacente, afflitto dalle stesse paure, preoccupato dagli stessi problemi, interessato a salvarsi con poca convinzione. Privati dei superpoteri, gli eroi sono tanti punti vulnerabili, dotati di una tecnologia obsoleta a fronte della tempesta in arrivo. Eppure, nella catastrofe, l’anima disorientata non smette mai di ribellarsi al disincanto, evita il tormento dello stupore, rende automatici dei processi evitando dei passaggi inutili della comprensione. Insomma non si lascia mai andare, non si rassegna, anche avendo lo sguardo rivolto sul baratro. Un cinema nel quale c’è sempre una porta secondaria, una proiezione differente, un’occasione di osservare estasiati con pura finalità di perdita meravigliosa. Trovandosi a frugare in una scatola magica sognando di catturare un coniglio.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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