Future Film Festival 07 – Anime in conflitto

Si intrecciano a perfezione l'ultimo film di "Black Jack" e il poetico "Stormy Night", due pellicole molto diverse, ma entrambe incentrate sul difficile superamento dei limiti imposti dall'indole, dalla vocazione e dai ruoli codificati dalla società

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Per l'animazione giapponese il tempo della riflessione non è mai passato: la possibilità di mettere in scena degli universi e delle situazioni che dicano di un perenne disagio rispetto allo stare al mondo è poetica sempre allettante, che dal passato sa trarre le lezioni più giuste per meglio radiografare il presente. Accade così che due pellicole molto diverse tra loro come Black Jack: Futari no kuroi isha (Black Jack: The Two Doctors of Darkness) di Makoto Tezuka, e Arashi no yoru ni (Stormy Night) del veterano Gisaburo Sugii (entrambe del 2005) si intreccino a perfezione, ponendo allo spettatore domande non banali sul senso dell'esistere in un mondo che tenta di evitare un confronto pure fomentato dalle esigenze dell'animo. Non si cada comunque nella trappola di credere che siano due film "a tesi": le apparenze ingannano e i temi più esibiti non sono necessariamente quelli sui quali vale la pena focalizzare l'attenzione.

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Il personaggio di Black Jack è stato creato dal grande e compianto manga no kamisama (dio del manga) Osamu Tezuka e rappresenta senz'altro una delle icone più affascinanti e ammirevoli dello sterminato universo del fumetto nipponico: a parte il grandissimo Capitan Harlock di Leiji Matsumoto, infatti, non riusciamo a immaginare personaggio più magnetico di questo dottore rinnegato il cui dualismo di un volto sfigurato e bicromatico riflette a perfezione la complessità di un animo votato alla salvezza del prossimo, ma nascosto dietro le mentite spoglie del mercenario che accetta di curare i pazienti solo dietro lauto compenso. Nel caso specifico il contrasto chiaroscurale dell'anima sembra inizialmente ricondotto a una facile dicotomia tra Black Jack e il collega Kiriko, che a pagamento pratica l'eutanasia sui pazienti terminali, proprio quelli che viceversa l'eroico dottore è più bravo a salvare da morte certa. L'azione si sposta ben presto in un'isola dove un batterio sintetizzato artificialmente sta uccidendo inesorabilmente alcune persone, nell'ambito di un più generale progetto per la guerra batteriologica.

Si fa un po' di fatica a star dietro ai fronti contrapposti, forse proprio in ossequio alla natura chiaroscurale del manga originale, ma quel che più conta è il conflitto che oppone Black Jack alla ineluttabilità della morte: Kiriko infatti incarna la disillusione di chi sa di operare in un mondo scientificamente votato allo sterminio e per questo ritiene ormai inutile seguire i principi imposti dalla vocazione. D'altronde cosa c'è di più naturale della morte? E, per estensione, come può la capacità salvifica di Black Jack non essere etichettata come un atto frutto non di amore per la vita, ma di mera ossessione, fomentata da un animo inquieto che solo nella cura del paziente trova la propria pace? Il film non scioglie questi enigmi, ma permette alla zona oscura tra bene e male di essere indagata a fondo dallo spettatore, che parteggia per Black Jack, ma non può sottovalutare gli enigmi posti in essere dalla vicenda. Il regista Makoto Tezuka, figlio di Osamu, era già stato omaggiato dal Future Film Festival nel 2000 e in questo caso, come già nella serie tv del 2004, rende omaggio al padre attraverso una storia che affronta il testo originario con piglio filologico, attraverso disegni semplici e un ritmo sostenuto.


Il superamento dei limiti imposti dalle convenzioni è al centro anche del lungometraggio di Gisaburo Sugii, Stormy Night, dove l'autore di tante serie storiche che vanno da Astroboy (1963) fino ai più recenti Prendi il mondo e vai (1985) e Holly & Benji Forever (2001), affronta in apparenza il racconto "infantile", ispirandosi a una fiaba molto nota in Giappone. Protagonisti sono un lupo e un agnello che, dopo essersi conosciuti in una notte di tempesta (complice l'oscurità, i due inizialmente pensano di far parte della stessa specie) danno vita a un'amicizia che supera i limiti imposti dalla natura e dalla società, ma devono per questo scontrarsi con le diffidenze dei rispettivi clan. Il lupo Gav è infatti giudicato un pusillanime dai suoi compagni, mentre il capretto Mei è viceversa ritenuto un temerario, ma anche un folle idealista per il suo credere che l'amico non lo mangerà. Dietro una struttura che mescola ironia e buoni sentimenti con un messaggio edificante, Sugii si diverte però a riflettere più in generale sul concetto di estraneità rispetto a un contesto codificato e allarga il suo discorso toccando anche temi come l'amore a tinte omoerotiche (il film è stato definito un Brokeback Mountain con animali) e più in generale sul sacrificio in nome della libertà sentimentale. I disegni sono anche in questo caso semplici, con animazioni a volte gravate da un eccesso di computer graphic e molte scene sorprendenti, a iniziare dal cruento attacco iniziale dei lupi a danno di alcuni capretti, che chiarisce subito la natura molto particolare di un film solo apparentemente destinato a un pubblico infantile.

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