FUTURE FILM FESTIVAL 2004 – Pixel e matite

A lezione di disegno e autoproduzione con Bill Plympton, a scuola di effetti speciali con Eddy Wong, e poi combattimenti dentro un videogioco, allunaggi preistorici, prigionie fatate e salti nel mito. Con gli occhi (quasi) sempre rivolti a Oriente. Non ci si annoia, aspettando il Ritorno del Re…

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Acquista in popolarità ma gioca a non rendersene conto il Future Film Festival. Così a dispetto delle 30.000 presenze dell'anno passato l'atmosfera è sempre quella di un festival piccolo e giovane. E con una punta di snobismo che non dispiace, continua a procrastinare gli appuntamenti eclatanti: l'anteprima de Il signore degli anelli occupava la mattina del primo giorno due anni fa, la sera dello stesso l'anno scorso e quest'anno (il sesto della kermesse) è tenuta in caldo fino alla sera dell'ultimo giorno, apparentemente a inviti (che ne sarà di noi?) e schivando la ventilata possibilità della maratona con l'intera trilogia.

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"Matrix sudcoreano", il film di cyber-azione Resurrection of the Little match girl è l'evento della mattinata (con replica serale) e apertura ufficiale di un festival che se supera qualche incertezza organizzativa (ritardo nella proiezione mattutina, taglio dei sottotitoli in inglese e file francamente sproporzionate all'afflusso) si promette stimolante. Spingendosi in direzioni che possano stuzzicare palati avidi di curiosità vecchie e nuove: consolidando la fascinazione per il "futuro nel passato" nella retrospettiva su Ray Harryhousen, ottantenne animatore di oggettini quali Base Luna chiama terra e Gli argonauti, in proiezione nella sala più piccola, per gli appassionati solo un po' delusi dall'assenza più che giustificata della parte in causa, a letto con l'influenza; con anteprime (lo spagnolo El Cid, the legend e il nipponico Princesse Arete) e corti (Future Film Short e Future Web Festival) che scorrono in parallelo agli eventi principali; con l'omaggio all'animazione russa, di cui si ripercorre la storia a partire dagli anni '20; con la sezione degli studios giapponesi Mad House, quest'anno dedicata a Kon Satoshi; e con la ricca rassegna sul cinema di Tsui Hark, in partenza con la proiezione di The Blade e l'incontro con Eddie Wong, realizzatore di effetti speciali tra i più importanti a Hong Kong, a conferma dell'occhio del festival sempre (e giustamente) puntato a Oriente.

 A proposito di incontri, è Bill Plympton in persona ad inaugurare la rassegna che il festival gli dedicherà quest'anno. Disponibile e ciarliero, racconta le tappe della carriera che lo ha portato dall'invio di bozzetti alla Disney all'età di 14 anni all'attuale offerta di un milione di dollari da parte della stessa casa. Offerta fieramente rifiutata: meglio il low-budget, o qualche redditizia incursione nella pubblicità o su MTV (dove lui stesso si è "sporcato le mani") che una dipendenza chiaramente soffocante per un autore che rivendica libertà creativa. Dopo l'enunciazione di tre regole per gli aspiranti emuli alla prima esperienza ("non superate i 5 minuti di durata e i 1000 dollari al minuto", "siate divertenti – il mercato vuole questo", ma "non speditemi banali faccette buffe: vi caccio fuori"), Plympton impugna la matita e procede a un'appassionante lezione di caricature, fino alla ri-creazione in diretta dei personaggi del suo ultimo lavoro -la cui lunga gestazione creativa è stata seguita passo dopo passo da una web cam-  Hair High, dove ancora una volta trionfano l'anatomia anarchica e la satira sociale dei precedenti I married a strange person e Mutant aliens. Politicamente corretto, Plympton si rammarica dei recenti licenziamenti a tappeto alla Diseny e loda gli animatori di Nemo e Lilo & Stitch, lavori legati alla computer graphic e dunque teoricamente lontani dal suo stile d'artigianato. Una posizione di pacifica convivenza tra (non) realtà molteplici e alquanto diverse, sintomatica dello spirito di questo festival, sempre più eterogeneo.

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