FUTURE FILM FESTIVAL 2009: "Idiots and Angels", di Bill Plympton

Idiots and Angels di Bill Plympton

Fra i pochi autarchici ancora dediti all'animazione, capace di giocare con le forme, i cliché e i generi, Plympton compone un nuovo miracolo di divertimento e poesia, un racconto morale ma con la leggerezza di chi ha per principale obiettivo l'espressione del cinema nella sua pienezza

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Idiots and AngelsChe sia attraverso la folgorante durata del corto o la più modulata progressione del lungo, il cinema di Bill Plympton continua a rivelarsi fonte di stupore, perfettamente riconoscibile e coerente con se stesso, eppure ogni volta originale: come accade con questo nuovissimo Idiots and Angels, che nella compattezza tipicamente plymptoniana delle figure, nel grottesco ricercato e nel gioco degli stereotipi sa aprirsi a slanci di autentica poesia. Come descrivere altrimenti la vicenda di un grigio uomo che trascorre le sue giornate in un bar, dimostrando un carattere per nulla incline al confronto con il prossimo, che un giorno vede spuntare sulla sua schiena due candide ali d'angelo? E' in quel momento che capisci di doverti affidare al genio di Bill, di non poter cercare punti di riferimento che pure fino a quel momento sembravano palesarsi con una certa precisione: se la gag iniziale della sveglia che interrompe, impertinente, il riposo notturno, sembrava infatti rimandare al corto disneyano Early to Bed (1941) con un Paperino impossibilitato a dormire, e la traversata nel traffico allo spassoso short Motor Mania del 1950 con protagonista Pippo nel doppio ruolo di mite pedone e selvaggio autista, il resto è un autentico mix di delicata follia.
Ma questo in sé non ci deve stupire: abbiamo imparato da tempo che da Plympton non dobbiamo aspettarci l'ovvio e anzi che ogni soluzione possibile nelle sue mani diventa soltanto il pretesto per un inatteso detour: la regia in fondo lo chiarisce nettamente, sperimentando soluzioni originali per i cambi di scena, dove ogni azione confluisce fluidamente in un'altra rinnegando il presupposto iniziale: lo scrosciare dell'acqua dal rubinetto, ad esempio, diventa il versarsi del latte nella ciotola dei cereali e l'insieme restituisce l'idea di un mondo i cui elementi sono profondamente interconnessi. Tutti tranne uno: quello umano. Già perché pur se la cifra grottesca mira a scatenare il riso, Plympton non è mai indulgente con la specie umana, lui è uno di quelli che l'arma dell'ironia la usa in senso non burlesco quanto satirico, e perciò nel raccontare le folli avventure dei suoi protagonisti mette in evidenza la meschinità dell'umano agire, che stavolta però si carica di una doppia possibilità, di dannazione o redenzione.
Il dono del personaggio, quelle ali che lo stesso tenta ripetutamente di strapparsi o di tagliare via, sono infatti a un tempo la via per una possibile salvezza dalla meschinità di un mondo che concepisce i rapporti umani unicamente come occasione di arricchimento, e la dannazione per chi, comunque, all'interno di quel meccanismo ci sguazza. Come il nostro eroe, che vende armi sottobanco, approfitterebbe volentieri di qualsiasi ricchezza illecita, ma viene redarguito dalle sue ali e che forse solo nell'amore per una donna che fino a quel momento aveva considerato solo come possibile oggetto sessuale troverà la forza per capire quale agire è corretto. In questo senso il racconto di Plympton è morale, ma con leggerezza, e una certa libertà narrativa che gli permette di accostare toni differenti: in fondo il suo è un cinema che gioca con gli stereotipi e i generi, e pertanto non stupisce che dal comico si passi al drammatico, dal noir all'horror se l'idea alle spalle è quella di una pienezza dello spettacolo, di cui lui è uno dei più grandi esponenti.

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