Gabriele Muccino racconta "Quello che so sull'amore"

gabriele muccino sul set di quello che so sull'amore

Un Gabriele Muccino scatenato alla conferenza stampa italiana del suo ultimo film Quello che so sull'amore. Il regista romano si è soffermato sulle recenti polemiche seguite alla sua sua intevista in cui definiva Hollywood "spietata". Ha poi fatto il punto sulle molte traversie produttive che ha avuto il suo film. 

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Un Gabriele Muccino scatenato alla conferenza stampa italiana del suo ultimo film Quello che so sull'amore. Il regista romano si è soffermato molto sulle recenti polemiche seguite alla sua intevista in cui definiva Hollywood "spietata". Ha puntualizzato il concetto e fatto il punto sulle molte traversie produttive che ha avuto il suo film. 

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Puoi fare il punto sulle tante speculazioni che in questi giorni hanno accompagnato l'uscita del tuo film in Italia? Era il film che volevi, o questa è la famosa versione voluta dai produttori?
La questione è complessa, perchè nell’accezione anglosassone la commedia romantica è un subgenere che si discosta dalla storica commedia anni '80 alla Harry ti presento Sally. Da quegli anni in poi c’è stata una deriva verso la semplicità di ogni approccio. Questo film non era una commedia romantica nelle mie intenzioni, ma una commedia drammatica, un film di relazioni umane con momenti di verità toccanti. Momenti veri e commoventi per definizione: il ritrovarsi fa parte delle nostre vite. I problemi in realtà non sono stati durante le riprese, ma dopo, quando il distributore ci ha detto che il film era incasellabile nella commedia romantica. Sette anime non sapevano come incasellarlo, è il genere puro che loro vendono, quando invece hanno un film ibrido non sanno come piazzarlo. La critica si aspetta un certo prodotto e lo stronca perché si distacca da quei canoni. "Dobbiamo vendere bene il film", questo mi ha insegnato subito Will Smith. In questo film i trailer erano confusi, il manifesto bruttarello, il titolo me l’hanno imposto e non mi piace, e per giunta il week end era il più debole dell’anno. Insomma la congiuntura è stata errata e ha creato dei problemi. Nei test screening era andato bene. Ma se sotto Natale un film che deve fare 15 milioni ne fa 6 è una pubblicità devastante, il pubblico è stato impossibilitato a vederlo. Io non volevo dire che Hollywood è spietata, i miei più grandi successi l’ho fatti nella quintessenza di Hollywood, non potrei parlarne male. Questo film invece è di fatto un film indipendente, una coproduzione in cui c'è anche l’Italia, fa parte a latere di Hollywood. Ho avuto troppi produttori e un distributore, tutti in disaccordo su come piazzare il film.

A chi si è ispirato come grande star del calcio? Anche qui i produttori hanno preteso modifiche?

Il mio rapporto con il calcio è inesistente, sarò andato allo stadio 2 volte, non ho mai avuto quella passione, ma il film non è affatto un film sul calcio, il fatto che sia un calciatore è puramente incidentale. Originariamente era un campione di baseball ma poi i produttori europei hanno preferito virare sul calcio. In fondo ho imparato che in America o sei produttore o devi avere un partner produttore che ti protegga, altrimenti sei in balia dei loro umori. Un regista in montaggio non è luidissimo, i produttori mi chiesero di fare delle modifiche, e il primo test andò molto male. Io tirai fuori la mia forza di volontà e ho fatto un test screening con la mia versione che invece andò molto bene. C’erano anche 2 scene drammatiche con Uma Thurman (tra cui una scena nel bagno in cui lei dimostrava la sua insoddisfazione di donna) che secondo me dava spessore al tutto. Togliendo quella scena, la sola che al pubblico non era piaciuta, ho dovuto girare altre scene che compensassero il tono del film. Se io avessi avuto Will Smith me l’avrebbe lasciata, proteggendomi da produtore. Credo che bisogna ascoltare il pubblico, ma con il giusto distacco. 

Quanto hai rimpianto Will Smith?

Gerard Butler veniva da commedie romantiche di successo. Lavorare con il cast è stato bello e semplice, anche le star come la Zeta Jones era duttile come un esordiente, una grande complicità. Dennis Quaid mi viene a trovare ogni week end con i suoi bambini. Certo Will Smith è un attore enorme, quindi lavorare con una star di quella potenza e di quella umiltà, lavorare lì per sua volontà e contro il parere dei distributori è stato un privilegio unico.

E adesso? Come si vive da italiano in America?

Son riuscito a lavorare là perchè io e son matto. A Hollywood vai a giocare ogni giorno contro Messi, non è facile togliere la palla a campioni così. Sono un privilegiato, in quel sistema nessun italiano ha mai fatto film. I miei illustrissimi colleghi come Leone o Bertolucci hanno fatto per loro scelta film con fondi europei o coproduzioni. Io sono entrato in una cultura comunque a me estranea, non ho fatto college in America, e ho dovuto gestire queste diffrenze al meglio. In fondo il traguardo più grosso è proprio quello che anche nelle stroncature peggiori non sono mai stato additato come l’italiano che non capisce il loro mondo. Mi sono mimetizzato bene.

Ci sono dei riferimenti a Dino Risi in questo film?

Forse si. C’è molto subconscio in quello che un regista fa, ci sono cose che un regista fa lucidamente e altre che bisogna che gli altri ti dicano. In La ricerca della felicità io avevo Ladri di Biciclette in mente. Qui sinceramente non ho avuto riferimenti particolari.

Quindi ha scelto il film perché? Anche motivi personali?

Molti di noi hanno più facilità a comportarsi come adolescenti nella vita, nel mio caso il confronto con la vita è arrivato a 40 anni, e devi decidere se rimani ragazzo o diventi uomo. I motivi sono questi, io voglio diventare maturo, ci provo, meglio provarci che neanche pensare di provarci. Ci sono 2 modi di essere autobiografici, uno è quando scrivi e pensi alle tue esperienze. Un altro modo è scegliere progetti non tuoi che senti ti appartengono. Io empatizzavo con i personaggi di questo film e in qualche modo mi ricordavano me stesso.

Il film ha incassato 13 milioni, quanto è costato?

Il budget non lo so, girano cifre diverse, secondo me sui 20 milioni di dollari. È stato venduto un po’ ovunque comunque, io aspetterei a chiamarlo flop. Il mercato internazionale vale quanto e più di quello americano.

Il finale del film era diverso? Come credi verrà accolto in Italia?

Si, era un finale aperto. Poi in qualche modo ho dovuto aggiungere la scena che c’è adesso e che è forse più letterale e incasellabile. Spero che la gente non abbia letto le polemiche intorno al film, spero che il mio pubblico in Italia che mi sono conquistato negli anni mi segua ancora oggi. Conto di ripetere il successo di Sette Anime che fu stroncato ma andò bene al botteghino. Spero solo che la gente entri in sala senza pregiudizi, fatto quello son sicuro che saranno contenti.

È una sfida rimanere in America?

C’è una dose di sfida con me stesso, non voglio uscire dall’arena senza aver vinto, decido io quando uscire, se sarò costretto a uscire lo farò con onore. La crisi economica si sente nel fatto che gli studios nel 2005 erano più coraggiosi. Oggi il brand sicuro è l’unica cosa che vogliono fare. Ma io continuo testardamente.

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