#GCM41 – Incontro con Deborah Nadoolman, Michelle Tolini Finamore e John Landis

Vestire Norma Talmadge: la moda nel cinema delle origini, l’incontro delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone dedicato al tema dei costumi nel cinema muto

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Il cineasta John Landis, sua moglie, la costumista Deborah Nadoolman Landis e Michelle Tolini Finamore, studiosa di storia della moda e autrice del libro Hollywood Before Glamour: Fashion in American Silent Film (2013), sono stati i protagonisti di PERSONAGGI, COSTUMI E CINEMA MUTO – Vestire Norma Talmadge: la moda nel cinema delle origini, ovvero la conferenza inaugurale (di una serie annuale) delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone dedicate al tema dei costumi nel cinema muto. L’iniziativa, concepita da Deborah Nadoolman Landis, direttrice del David C. Copley Center for Costume Design dell’UCLA, si propone di esplorare uno degli aspetti meno noti del cinema muto. La carriera di Norma Talmadge, attrice, regina d’incassi al botteghino e produttrice cinematografica statunitense, a cui Le Giornate del Cinema Muto dedicano una retrospettiva, attraversa una fase di transizione nell’evoluzione dei costumi per il cinema. A partire dai film della grande attrice americana si ripercorre la storia dei costumi e della moda nel cinema delle origini che hanno contribuito all’evoluzione dell’immagine di Hollywood mettendo in risalto il ruolo fondamentale dell’arte dei costumi nel racconto cinematografico prima dell’avvento del sonoro.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

La conferenza stampa, tenutasi presso il ridotto del Teatro Verdi di Pordenone, è stata moderata dal direttore delle Giornate del cinema muto, Jay Weissberg, il quale ha ricordato al pubblico presente che: I “costumi” creati da Deborah Nadoolman Landis vengono definiti “da sogno”: è riuscita ad elevare il costume ad un livello altissimo. Prende subito la parola Deborah Nadoolman Landis: È da molto tempo che ho cominciato ad interessarmi a questo tema e mi sono resa conto che la storia del costume, e il rapporto del pubblico col cinema, sia muto che sonoro, era una presenza fondamentale ma che allo stesso tempo era stata sottovalutata. E lo è ancora tutt’ora. Le emozioni che si instaurano tra il pubblico e di chi sta sullo schermo sono i costumi, parti essenziali perché ne costituiscono il design. Questo ci porta a concepire il carattere stesso dell’interprete. Ho imparato che contava di più la sostanza che lo stile, perché in Italia, Patria e casa dei più grandi costumisti, è stato praticato così. Voglio raccontarvi ciò che ritengo una svolta personale, che mi ha cambiata in modo fondamentale. È stato proprio qui, quando io e John siamo venuti alle Giornate del Cinema Muto nel 2016. Vedemmo Les misérablesdi Henri Fescourt (1925), dalla durata di sei ore. Due anni dopo mi trovavo in un sobborgo di Parigi, presso i magazzini della cinémathéque française dove tengono tutti questi archivi. Ad un certo punto, guardando questi archivi, il Direttore (Frédéric Bonnaud) mi fece vedere alcuni fogli e mi sono resa conto, con un brivido e la pelle d’oca, che stavo guardando i disegni originali dei costumi proprio de Les misérables che avevo visto qui. Guardando questi film, mi sono sempre chiesta: perché il livello scientifico tra studiosi non è più avanzato? Si è come fermato, non c’è un rapporto consolidato… Il cinema muto, se ci pensiamo attentamente, non era mai muto, c’era sempre la musica ma c’erano anche i costumi, e questo è sempre stato il miglior modo per apprezzare gli interpreti sullo schermo.

Conclusa questa introduzione la parola passa a Michelle Tolini Finamore: Da storica della moda mi sono resa conto che questo legame dovesse essere allargato con quello che facciamo, e feci delle ricerche fra Londra, New York e Los Angeles e ho visto quanto fosse ricco il terreno da scoprire ed esplorare. Sono molto grata della spinta che ho avuto da Deborah, mi ha incoraggiata perché il livello interdisciplinare del nostro lavoro, come in tanti campi, deve essere aumentato.

Arriva la prima domanda da parte del pubblico: Lei ha citato in molte interviste Piero Tosi, grande costumista di grandi film e registi, come Luchino Visconti (Il Gattopardo, 1963) e soprattutto Pasolini (Medea, 1969). Volevo capire qual è la lezione di Tosi”. (Nominato 5 volte agli Oscar, ne vinse uno nel 2014 alla carriera. Ma poiché odiava prendere l’aereo, mandò Claudia Cardinale a ritirarlo).

Deborah Nadoolman Landis: Era il migliore di tutti. Tosi credeva fermamente che la Storia possa sempre essere migliorata. Lui ha ingannato il pubblico: perché quando guardate un film, non andate a guardare i costumi del 1800, guardate i suoi! Mi raccontò che negli anni ’50 lavorava su un film neorealista (Bellissima), era alla Stazione Centrale di Milano per la sua ricerca sui costumi. Stava fotografando chi saliva e scendeva dai treni. Vide il pullover di una donna e pensò “Mi sembra perfetto”, e le chiese di acquistarlo, dicendole “Mi serve per Anna Magnani” e lei rispose: “Se è per Anna Magnani, glielo do gratuitamente”. I migliori costumisti sono al servizio del dramma, “servono” il soggetto e i costumi. Cosa rimane di questi costumi? Sono andata ad una collezione dedicata a Tosi, a Roma, e ho visto questi pezzi magnifici. Quello che ci scordiamo molto spesso è che lui curava, preservava, questi costumi. Come non ricordare la giacca rossa di Michael Jackson (Thriller, 1982). A pensarci bene anche nel manifesto per Un lupo mannaro americano a Londra (1981) il protagonista porta la giacca rossa. Non so perché…


Altra domanda: Un tempo le attrici portavano gli abiti da casa. Qual è il momento in cui scatta l’idea che la forma del film è fatta anche di costumi? In che modo Norma Talmadge modernizza e crea uno stile americano nel cinema muto? Risponde Deborah Nadoolman Landis: Non all’alba del cinema ma dagli anni 20 sicuramente, anche dai 10, comincia il lavoro vero e proprio dei costumisti. Michelle Tolini Finamore: Se già guardiamo Intolerance di Griffith (1912), già esisteva il lavoro del costumista… Questa cura per l’oggetto non veniva sempre dal mondo della moda. L’inizio dell’epoca cinematografica mi fa pensare ai film indipendenti di oggi, dove chi si deve occupare del costume o lo deve creare dal nulla o lo deve prendere sul posto. Una delle nostre attività è proprio quella di identificare e ricercare chi ha costruito questi lavori perché in passato, molto spesso, non c’era mai il nome nei credits finali.

Un’altra domanda: come cambia l’uso del materiale? Risponde Deborah Nadoolman Landis: Erano due le cose fondamentali che all’inizio dovevano colpire: quando tutto era in bianco e nero era l’effetto cromatico sulla pellicola, mentre successivamente, quando è entrato il sonoro, la stoffa. Nei primi film si vede: l’uso del bianco puro non andava bene, si vedeva una specie di aureola intorno al costume, quindi utilizzavano grigi e tonalità pastello. Un titolo nel Los Angeles Times annunciava che “Siamo ad Hollywood, dove le spose portano il rosa e le vedove il rosso”: perché nelle riprese il rosa diventava bianco e il rosso sembrava nero. C’erano dei punti da considerare: la silhouette, il profilo delle meravigliose stelle del cinema, e la luce, come elemento di movimento, scintilla sul vestiario.

Infine, prende la parola John Landis, tornato fra gli ospiti del Festival del Cinema Muto.
Il cineasta, intervenuto solo alla fine della conferenza stampa della moglie, spiega quanto sia stato importante per lui conoscere e frequentare i pionieri del cinema: Ho iniziato a lavorare nel cinema quando molti di loro, come Hal Roach o King Vidor erano ancora vivi ed erano a Los Angeles. Mi sono fatto raccontare come lavorassero. Il regista, rispondendo a una domanda su come sia riuscito a controllare sul set uno dei protagonisti più amati del suo cinema, John Belushi, spiega che John era un persona straordinaria, non va identificato con i suoi personaggi. Landis accenna anche ai problemi dell’attore: Quando abbiamo realizzato Animal House era libero delle dipendenze, ma sfortunatamente quando abbiamo girato insieme The Blues Brothers, era tossicodipendente dalla cocaina, e ciò porta a bere e ad altre conseguenze. Chiunque conosca le dipendenze sa che l’unico capace di controllarle è la persona stessa, non si può intervenire dall’esterno. John era una persona di grande talento, amabile e dolce, adoravo lavorare con lui.

Tornando al rapporto fra costumi e cinema conclude: Tutto quello che si indossa davanti a una cinepresa diventa un costume. Io sono stato molto fortunato ad avere Deborah con me come costumista. Si occupava anche delle comparse perché anche i loro colori, le cose che indossano, contano. La cosa che ci si dimentica è quanto sia ancora nuova l’arte del cinema, il suo sviluppo è recentissimo, rispetto ad altre come la pittura o la scultura.
Ci colpisce quanto la settima arte sia cambiata velocemente, e guardando ai film muti è incredibile il mondo nel quale geni come Griffith nei abbiano creato il linguaggio…
Secondo me nel 1916 i film avevano già lo stesso valore di quelli di oggi.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array