Gelsomina Verde, di Massimiliano Pacifico

La sperimentale opera prima di Massimiliano Pacifico è un interessante omaggio alla giovane ragazza, torturata e uccisa dalla Camorra a soli 21 anni. Dal 29 aprile sulla piattaforma 1895.cloud

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Gelsomina Verde aveva 21 anni quando venne rapita, torturata e bruciata viva nella sua macchina dalla camorra. La sua unica colpa è stata quella di aver frequentato la persona sbagliata, un uomo che nella guerra camorristica era passato al lato sbagliato. La ragazza, conosciuta nel suo difficile quartiere per il buon’animo, non sapeva nemmeno dove si trovasse l’uomo, informazione che i suoi carnefici cercarono invano tra le ossa rotte e le fiamme che la divorarono. All’ingiustizia, si sa, piace infierire: i familiari non sono stati in alcun modo tutelati, subendo pressioni esterne impossibili da resistere, mentre Gelsomina non veniva riconosciuta come vittima innocente di camorra al processo.

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Da questo terribile fatto di cronaca nasce la scintilla che dà vita a Gelsomina Verde, opera prima sperimentale diretta da Massimiliano Pacifico. Scritto dallo stesso regista insieme al produttore Gianluca Arcopinto e con la consulenza alla sceneggiatura del fratello di Gelsomina, Francesco Verde, il film racconta del lavoro attorno a una pièce teatrale che prende le mosse dalla morte della giovane. I cinque attori scelti arrivano lentamente in una vecchia villa nella quale proveranno le loro parti, confrontandosi anche con i loro stessi ruoli. Le prove, spesso accompagnate da dialoghi con il regista della pièce Davide Iodice, si alternano a materiali d’archivio e interviste al fratello della ragazza.

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Madonna di Port lligat

Gelsomina Verde è un film frammentario, spezzato ed esploso; ogni detrito segnala una presenza/assenza della ragazza. Come fosse la Madonna di Port Lligat di Salvador Dalì, ogni scheggia, che provenga da una storia o da un archivio, segnala un’assenza sul piano concreto, circoscrivendo, a mano a mano, un vuoto riempito dalla sostanza immaginaria della pièce. Eppure, la presenza di Gelsomina risulta incrinata dal fatto di non poter entrare a far parte di una vera e propria narrazione. Quest’ultima assume le sembianze di una strada impraticabile quando dalle prove degli attori si alza una voce circospetta, diffidente nei confronti delle zone d’ombra della storia. Quei dubbi, non chiaramente inquadrabili come sinceri o eterodiretti in quanto utili al film, segnalano una mancanza di valori condivisi che sembrano impedire al sangue di coagularsi in storia.

Collocare questi numerosi pezzi nel loro giusto posto è un lavoro che le sole spalle dello spettatore sono chiamate a sostenere. Il faticoso districarsi tra i saliscendi emotivi e ritmici che le dinamiche tra i cinque attori creano perde di senso quando si incontra in questo marasma di macerie un unico rudere, rimasto miracolosamente in piedi. Le interviste a Francesco Verde sono il blocco di granito di dolore troppo pesante per essere trascinato via dalla corrente del tempo e sul quale l’intero film edifica il suo discorso. Così, alla fine, piuttosto che trovarci davanti a una rappresentazione sacra di Gelsomina Verde, si ha l’impressione di avere davanti un’opera architettonica. Un arco, di cui Gelsomina è la chiave di volta, fondamentale per attraversare il muro di violenza, di omertà, di abbandono.

Regia: Massimiliano Pacifico
Interpreti: Pietro Casella, Davide Iodice, Margherita Laterza, Giuseppe D’Ambrosio, Maddalena Stornaiuolo, Francesco Lattarulo, Francesco Verde
Distribuzione: Pablo
Durata: 70′
Origine: Italia, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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