Gemini Man, di Ang Lee

3D potenziato, 120 fotogrammi al secondo ma resta essenzialmente un grande progetto teorico di un giocattolo immodificabile. La spy-story è intasata e ci mette almeno mezz’ora prima di partire.

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C’è uno specchio dove Harry, killer di professione, non si vuole più guardare. Ha ormai 51 anni, ha ucciso per anni per la Defense Intelligence Agency e se ne vuole andare in pensione. Uno specchio che a un certo punto gli si ripresenta all’improvviso. Attraverso un suo clone perfetto, poco più di 20 anni, ricreato attraverso il suo DNA dai suoi superiori per farlo fuori. Per fronteggiare la minaccia, il sicario viene aiutato dall’agente governativa Danny Zakarweski.

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Quasi una lotta contro il suo doppio. E contro il tempo. In un progetto ambiziosissimo di Ang Lee. Estremo e incompiuto come Vita di Pi. Lì  c’era una scialuppa in mezzo all’Oceano Pacifico con il figlio del guardiano dello zoo scampato al naufragio e una tigre creata digitalmente. In quel caso non uno specchio con un suo doppio, ma una fiera delle illusioni. Che ha spesso attraversato l’opera di Ang Lee, dai voli wuxia di La tigre e il dragone ad Hulk. In Gemini Man, invece, lo specchio diventa quasi una sorta di desiderio, di viaggio indietro nel tempo. Will Smith diventa quasi l’uomo del ritratto con le derive di Fritz Lang. E insieme anche l’incarnazione della strega cattiva di Biancaneve e i sette nani. La versione giovane di Harry, Junior, viene ricreata completamente in performing capture. In un 3D potenziato, il 3D+, a 120 fotogrammi al secondo. Una sfida al limite. Quelle che piacciono sempre al cineasta. Con Will Smith che è anche uno degli attori statunitensi che appaiono come l’emanazione SF, un corpo che da spesso l’illusione del digitale nei suoi movimenti. Da Io, Robot, ad Hancock fino ad After Earth. E in cui la fotografia di Dion Beebe, che già aveva lavorato in uno dei film più innovativi da questo punto di vista del decennio scorso come Collateral di Michael Mann, accentua questa astrazione da un realismo che sembra riformarsi ex-novo in una dimensione parallela.

Tutto bene dunque. Non proprio. In Gemini Man restano solo i frammenti. Come quelli di uno specchio che si rompe in mille pezzi. Si ricostruisce in digitale. E poi si rompe di nuovo. Il film, dal budget elevatissimo (circa 138 milioni di dollari), sembra un giocattolo perfetto che una volta che si è messo in moto non si può modificare. È un progetto che risale a 20 anni fa. Da un’idea di Darren Lemke, qui seneggiatore assieme a David Benioff e Billy Ray. Ma lo script è passato anche per diverse mani. Tra cui anche quelle di Andrew Niccol. E prima di Ang Lee, avrebbero potuto dirigerlo anche Tony Scott e Curtis Hanson.

Il cineasta ha mostrato in passato di saper dirigere scene d’azione. Come ha dimostrato anche in alcuni momenti di Lussuria e soprattutto nell’ottimo, precedente, Billy Lynn. Un giorno da eroe. In Gemini Man appare già frenata, depotenziata già in apertura. Con Harry cecchino che attende l’arrivo di un treno in attesa del suo bersaglio. Quasi reminescenza del veterano del Vietnam di Targets di Bogdanovich. E soprattutto la parte in cui Harry e Danny devono fronteggiare i sicari mandati sul posto per farli fuori.

La prima mezz’ora di Gemini Man è come sprecata. Prima di un duello determinante. L’inseguimento tra Harry e Junior sulle moto a Cartagena. Dove sembrano convergere le istanze dei due produttori di generazioni diverse. Da una parte Jerry Bruckheimer. Dall’altra David Ellison, che sembra portare in Gemini Man la dispersione spaziale dei Mission: Impossible, a cui ha lavorato sempre da Protocollo Fantasma in poi. La moto diventa come un’arma. Dove il cinema crea un’altra illusione. Quella di trovarsi dentro un videogioco. Di poter muovere Harry e Junior come ci era capitato in Spider-Man: Far from Home. E la catacomba e lo spazio deserto della guerra finale sono esplicative.

Come in Vita di Pi anche gemini Man resta soprattutto un grande disegno teorico. Che lascia tutti i segni, intasa la spy-story e anestetizza la prova di un grande attore come Clive Owen. Un’affascinante delusione forse. No, ma forse è troppo. È un tipo di cinema che deve lavorare forse sul nostro immaginario. Sul nostro occhio. La velocità di 120 fotogrammi al secondo forse immette troppi dettagli. Al momento si resta un po’ freddi davanti a Gemini Man. Ma forse tra qualche decennio avremo torto.

 

Titolo originale: id.
Regia: Ang Lee
Interpreti: Will Smith, Mary Elizabeth Winstead, Clive Owen, Benedict Wong, Ralph Brown, Linda Emond, Douglas Hodge
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 117′
Origine: USA, 2019

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.5 (2 voti)
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