Gender Bender 15 – Just Charlie, di Rebekah Fortune

Dal festival Gender Bender di Bologna, un film che porta il peso di una dolce e inoffensiva disforia di genere, con tatto e verosimiglianza

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Ci sono film che si denudano fin dal titolo. È il caso di Laurence Anyways, di Xavier Dolan (2012), che addirittura, prima di scriverla e girarla, sceglie il nome della sua opera; perché Laurence, in Canada, è indifferentemente utilizzato per entrambi i sessi, ed è l’appellativo totale per dare vita a un personaggio uomo che, a trentacinque anni, vuol farsi donna. È anche il caso del fresco e apprezzabile Just Charlie di Rebekah Fortune, narrando di un quattordicenne che scopre il suo corpo, lo vive come una gabbia perché sente di essere una ragazza e, di nascosto, nei boschi o negli anfratti della casa, si trucca e si abbiglia adoperando pennelli e vestaglie e scarpe della sorella maggiore: Charlie è nome soprattutto maschile, ma anche femminile in quanto diminutivo di Charlotte.

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È tutto complicato, in Just Charlie. È complicato portare il peso di una così dolce e inoffensiva disforia di genere. È complicato essere genitori o sorelle di questo quattordicenne fragile e forte al tempo stesso: il padre impiegherà il film intero, per tentare di comprenderlo, vedendo evaporate tutte le speranze di rendere il figlio un grande calciatore (speranze che, in verità, erano le sue da giovane, ed ora malsanamente riflesse in Charlie). È complicato essere, o non essere, compagni di classe o di squadra di un “travestito”, che, un bel giorno, si presenta in aula in gonna, calze e ballerine (un po’ come quel Laurence, da docente, sconvolse tutti mostrandosi in tailleur nei corridori imbarazzati della sua scuola). Ma il tutto è raccontato con tatto e verosimiglianza, mediante le musiche impalpabili e mediante una regia più vivace rispetto a un altro bel lavoro che esplora una tematica contigua (Tomboy, di Céline Sciamma, 2011).

Una sequenza, più di altre, colpisce per composizione, quando la camera si sofferma sull’ingresso parallelo di due stanze della casa, tutta rosa la camera della sorella e tutta azzurra la camera di Charlie. Finché i ruoli si invertono: Charlie invade lo spazio della sorella Eve, ed Eve invade lo spazio di Charlie, in uno scambio di ruoli e identità che strugge e che alleggerisce, come strugge e alleggerisce l’intera pellicola (specialmente in quel finale che sorprende). E infine: nel dialogo di riappacificazione con quell’amico che, inizialmente, aveva allontanato e aborrito Charlie, c’è tutta la bellezza e la semplicità di essere se stessi: perché l’altro vorrebbe essere Ronaldo, e non può, mentre Charlie vuole essere Charlie – con rossetto, capelli lunghi, collant – e, fortissimamente, può.

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