Gender Bender 15 – Yes, We Fuck!

Conclusosi ieri, il festival bolognese ha confermato qualità e partecipazione, sensibilissimo alla cultura LGBT e foriero di tanta arte che altrimenti, in Italia, finirebbe trascurata

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La sessualità di persone diversamente abili è ancora un argomento occultato, si direbbe un tabù dei nostri giorni; lo è quantomeno in Italia, dove manca persino una legge che definisca la figura dell’operatore sessuale, tecnicamente chiamato O. E. A. S. (acronimo per “operatore all’emotività, alla affettività e alla sessualità delle persone con disabilità”). Una figura, cioè, che carezzi, abbracci, massaggi, accompagni alla masturbazione quelle persone che hanno difficoltà oggettive a vivere autonomamente il proprio corpo e quello altrui, nella quotidiana riscoperta del piacere e magari evitando che agiscano per loro, in modo improprio, gli stessi familiari.
Il documentario spagnolo Yes, We Fuck! (girato da Raul de la Morena e dall’attivista Antonio Centeno), che è del 2015 e che arriva irruente al Gender Bender Festival di Bologna, lumeggia il tema anche con i giusti colori dell’ironia, narrando l’esperienza personale di disabili e ascoltandone timori e fantasie. Soprattutto, questo breve e coraggioso scorcio sulla sessualità di persone diversamente abili non degenera mai nel sentimentalismo, rivelando la sana umanità di ogni individuo filmato.

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Delude, invece, l’americano A Million Happy Nows, interpretato da quella Crystal Chappell tanto celebre nel mondo statunitense della soap (Beautiful, Sentieri). La banalità del film è proprio nell’impianto generale, che non riesce a smarcarsi da quell’aura da soap-opera per trama, dialoghi e scelte registiche. Così l’amore lesbico tra Eva e Lainey, esiliate in un villone sulla costa californiana affinché la malattia di una delle due possa avere un decorso migliore, non cattura in nessuna conversazione o scena, spazientendo anzi lo spettatore. La lotta contro l’Alzheimer ha avuto epigoni migliori nel mondo del cinema (Still Alice con Julianne Moore, solo per dirne uno) e A Million Happy Nows non riesce a commuovere neanche dove sarebbe stato facile turbare in qualche modo la platea.

Una piccola macchia, questa pellicola del 2016, in un Gender Bender bolognese che si conferma festival di qualità e pieno di partecipazione, sensibilissimo alla forma di cultura LGBT e foriero di tanta arte che altrimenti, in Italia, finirebbe trascurata.

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