Gene Tierney, cometa noir

Sfuggente, esotica, misteriosa, descrivere Gene Tierney è quasi come descrivere un fantasma. Rivedendo quei capolavori a più di settant’anni dalla loro prima apparizione sul grande schermo grazie alla rassegna La diva fragile, stupisce ancora come la sua presenza rimanga un mistero inafferrabile.

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Sfuggente, esotica, misteriosa, descrivere Gene Tierney è quasi come descrivere un fantasma. Rivedendo quei capolavori a più di settant’anni dalla loro prima apparizione sul grande schermo grazie alla rassegna La diva fragile, stupisce ancora come la sua presenza rimanga un mistero inafferrabile. Il suo volto magnetico sembra quasi non appartenere allo stesso piano temporale a cui l’impressionabilità della pellicola vorrebbe confinarlo, ma si smaterializza in primi piani accecanti, come fossero interferenze arrivate da un altra dimensione. Non ha mai avuto nulla di terreno il passaggio di Gene Tierney su questo mondo, è stata una cometa che ha solcato gli anni ’40 del cinema hollywoodiano e non si è più guardata indietro, scomparendo alla vista degli spettatori che non hanno neanche avuto il tempo rendersi conto di cosa stava accadendo.

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I suoi grandi successi sono tutti raccolti in un periodo temporale limitato, che inizia con I misteri di Shanghai di Rudolph von Sternberg e termina durante la complicatissima lavorazione di La Mano sinistra di Dio, al fianco di Humphrey Bogart. Sono poco più di dieci anni, nei quali riesce a costruire un personaggio di straordinaria modernità, sospeso tra la densità del suo sguardo e la volatilità filiforme del suo corpo. Diventa lo schermo perfetto sul quale proiettare le ansie, le paure e le ossessioni dell’uomo americano, sul cui riflesso c’è già lo spettro di un desiderio impossibile, una vertigine che dura il tempo di un rullo e poco più. Una passione che brucia così rapida da costringere i registi a farla entrare in scena quando il film è già in pieno svolgimento per evitare che la sua presenza faccia collassare le strutture narrative. Questa sua innata capacità nell’annullare per un momento le rigidità dell’epoca e trasformarle in un sogno esotico l’ha resa materiale perfetto per il genere noir, in cui ha tratteggiato la meno ortodossa e forse per questo più letale delle femme fatale, un incrocio tra il desiderio di libertà e la caducità dell’effimero.

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Nata in una famiglia facoltosa di New York si è sempre interessata alla poesia e alla recitazione, tanto da spingere Anatole Litvak ad offrirle un contratto appena diciassettenne durante un viaggio di Gene a Hollywood. La sua carriera comincia però lontana dai riflettori di Los Angeles, sui palcoscenici di Broadway dove rapidamente diventa una delle attrici più richieste. Richard Watts sul New York Herald Tribune scrive che la signorina Tierney avrà sicuramente una radiosa carriera teatrale se non verrà rapita dal cinema. Cosa che puntualmente accade nella figura di Darryl Zanuck, il boss della 20th Century Fox che successivamente la definirà la più bella attrice della storia del cinema.

La sua carriera sarà caratterizzata dalla collaborazione con registi d’origine europea, i più sensibili alla sofisticata presenza di Gene, molto lontana dagli stereotipi della donna americana. Esordisce con Fritz Lang ma il primo a sfruttare i suoi tratti felini sarà Von Sternberg in I misteri di Shanghai, una storia di torbide ossessioni in una Cina dalla sensualità asburgica. Il grande passo della sua carriera arriva però per mano di un altro grande cineasta mitteleuropeo, Ernst Lubitsch, con cui debutta nella commedia. Ne Il cielo può attendere c’è il primo incontro tra Gene Tierney e i fantasmi, nello specifico quello di suo marito, donnaiolo impenitente a cui è vietato l’accesso al paradiso. Nel ruolo della moglie comprensiva dà ampio sfoggio delle sue sottovalutate doti comiche oltre che sviluppare quella parte materna e serena che risulterà determinante per innescare il cortocircuito del suo lato oscuro.

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Il regista che più ha compreso la questa sua contraddizione formale è stato sicuramente Otto Preminger, che arrivato da Vienna si è portato dietro il lettino di Freud dove farla sdraiare, trasformando il noir dato in mano a Mamoulian in un melodramma sulla proiezione identitaria. Laura non è la classica donna spietata ed arrivista del cinema nero, ma è l’esatto opposto. Dove le altre spingono il protagonista al peccato, i personaggi di Gene Tierney aprono uno spiraglio attraverso cui poter scorgere un’altra vita, lontano dallo squallore e dalla corruzione dilagante. E dopo aver visto la possibilità di redenzione solitamente falliscono, come se non fossero degni di restare insieme alla donna amata. In Vertigine interpreta una donna che vive due volte, prima nella sua icona (il ritratto, la memoria) e poi nella sua natura corporea, che sboccia improvvisamente, come quando viene costretta sotto una lampada da interrogatorio dal detective interpretato da Dana Andrews.

Una dark lady capace di trasformare anche il technicolor di Femmine Folli in un incubo verticale, senza freni, in cui tocca tutte le sfumature, dal perfetto idillio alla follia cieca che distrugge ogni cosa su cui stende mano. Purtroppo per lei anche la sua vita privata comincia ad assomigliare alle trame dei film che interpreta. Durante una serata dove era volontaria alla Hollywood Canteen viene a contatto con una fan affetta dalla rosolia, malattia che pregiudica la salute della sua gravidanza. La figlia Daria infatti nasce con gravi deficienze fisiche che faranno crollare la madre in un abisso depressivo dal quale non riuscirà mai ad uscire del tutto. Durante la lavorazione al fianco di Humphrey Bogart sul set di La mano sinistra di Dio crolla definitivamente e viene ricoverata nel primo dei tanti ospedali psichiatrici che d’ora in poi rappresenteranno i suoi palcoscenici. A tirarla fuori da un inferno di elettroshock ci prova sempre Otto Preminger, con cui torna a girare il suo quarto film, Tempesta su Washington, a cui seguono altri piccoli ruoli sul piccolo e grande schermo. Ma è solo una breve parentesi. Abbandona nuovamente le scene, questa volta per sempre e si ritira a vita privata con il suo secondo marito Howard Lee.
In qualche modo la sua vita ricorda quella della signora Muir nel film diretto da Joseph Mankiewicz, una travolgente primavera seguita da un lungo autunno passato a parlare con i fantasmi, quelli che hanno sempre accompagnato la sua vita.

Filmografia Essenziale

I Misteri di Shanghai Rudolph von Sternberg 1941

Il paradiso può attendere Ernst Lubitsch 1943

Vertigine Otto Preminger 1944

Femmina Folle John Stall 1945

Il Fantasma e la signora Muir Joseph Mankiewicz 1947

I Segreti di una donna Otto Preminger 1949

I Trafficanti della notte Jules Dassin 1950

Sui Marciapiedi Otto Preminger 1950

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