Gene Tierney: Vertigine, di Otto Preminger

Capolavoro noir, il film che crea il mito di Otto Preminger e lancia le sue due icone Gene Tierney e Dana Andrews. Vertigine di ossessione e desiderio che si condensa in un quadro. Un’immagine.

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Vertigine o Laura? Il titolo italiano (forse il più pertinente, per una volta) o il titolo originale (semplicemente il nome di una donna, forse troppo banale?). Tentiamo di rispondere, cerchiamo anche noi le prove come il detective protagonista Mark McPherson. Siamo nel 1944, il periodo d’oro del noir classico, quando un ostinato regista viennese emigrato a Hollywood da qualche anno riesce a imporre la sua visione alla Fox di Zanuck e a dirigere (oltre che produrre) l’adattamento di un romanzo che aveva molto amato. Inizia qui la vera avventura di Otto Preminger in America (sin lì molto contrastata), inizia qui la sua fortuna critica e cinefila, inizia qui la collaborazione con le sue due icone attoriali indiscusse: Gene Tierney e Dana Andrews, eterni e fragili innamorati destinati a scontrarsi con i loro fantasmi interiori (come in Sui Marciapiedi).

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Vertigine. È stato trovato un cadavere in un appartamento nel centro di New York, è quello di Laura, giovane e bellissima donna in carriera ricordata dalla voce fuori campo dell’amico Waldo (un famoso giornalista) che la introduce anche al detective McPherson. Fuori piove, si esce solo per rapidi spostamenti, ci si rinchiude spesso nella casa di Laura  come il centro propulsore di ogni pensiero/immagine/sogno. L’anatomia di un omicidio si dipana davanti ai nostri occhi, scandita dall’inesorabile passare del tempo in un’enorme pendola che ha il suo doppio nella casa dell’inquietante Waldo. C’è però qualcosa che non quadra nelle indagini di McPherson, qualcosa gli sfugge sempre, torna ossessivamente a ritirarsi in quell’appartamento, legge diari e lettere private, ma soprattutto torna come una spirale ossessiva a guardare l’oggetto del suo desiderio: (il ritratto di) Laura che troneggia sul caminetto come un’eterea musa antica.

lauraLaura. Quell’immagine diventa il motore del film, o dell’intera filmografia di Preminger: l’ossessione e il desiderio sedimentati in perturbanti fantasmi che creano costantemente il cinema. Gene Tierney è eterea presenza che rapisce dalla prima visione, corpo-fantasma che crea trame noir (gli insistiti flashback) e poi vertigini inspiegabili (il suo ritorno alla vita), insomma è il motore occulto di un film che ruota intorno al suo (falso) omicidio come impossibile morte dell’immagine della bellezza. Preminger comprime il tempo, asciuga all’osso la sua trama e confonde definitivamente lo sguardo aderendo ai sentimenti di McPherson: leggendaria la carrellata a stringere e poi ad allargare sul primo piano dell’uomo addormento vicino al ritratto di Laura. Preludio onirico alla ri-apparizione di Lei: un fantasma, quindi? Chi lo sa, non ci sono “le prove” di questa affermazione, solo le marche enunciative del cinema (il sogno lo si introduceva così a Hollywood), solo prove immaginarie pertanto. Ma se la seconda parte del film è tutto un sogno di Mark (una sorta di Mulholland Drive al contrario, quanto era lynchano, prima di Lynch, Otto Preminger?), allora Laura non smette proprio mai di essere un’immagine: la incontriamo prima nel flashback dell’amico/assassino Waldo, poi nel quadro che fa innamorare Mark, infine nel suo/nostro sogno che la rende cinema nel coronamento dell’amore e nello svelamento del mistero. Ma continuano a non esserci le prove certe di questa interpretazione (sublime ambiguità premingeriana…) e alla fine resta solo l’immagine di Gene Tierney che a distanza di settant’anni ci fa ancora innamorare perdutamente in ogni singola inquadratura. Ecco la prova definitiva, allora, ha sempre avuto ragione Otto Preminger: questo film non poteva che chiamarsi semplicemente… Laura.

 

Titolo originale: Laura
Regia: Otto Preminger
Interpreti: Gene Tierney, Dana Andrews, Clifton Webb, Vincent Price
Distribuzione: Lab80 Film
Durata: 85′
Origine: Usa 1944

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