Gene Wilder: la prevedibile virtù dell’eleganza

Una commistione perfetta tra comicità e intelligenza, mai volgare, sempre contenuta entro una etichetta di eleganza che ne esaltava paradossalmente il potenziale eversivo.

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Gene Wilder ha alcuni problemi. E’ meticoloso ed inibito ed è sorprendente che sia arrivato tanto lontano. Per essere sinceri, può ringraziare me! Il guaio di Gene è un carattere troppo umanitario ed una eccessiva attenzione per il dettaglio. Un accoppiamento sbagliato. A Gene piace registrare i più piccoli dettagli emotivi che formano il mosaico. Ma in ultima analisi al pubblico interessa solo l’effetto globale del mosaico…Gene è diventato troppo introspettivo e pesante, mentre avrebbe dovuto essere più leggero e superficiale.”

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Mel Brooks su Gene Wilder

Visualizzare un periodo attraverso una icona: gli anni 70 e tutta la prima metà degli anni 80 hanno impressa la facies ironica inconfondibile di Gene Wilder, frutto di una commistione perfetta tra comicità e intelligenza, mai volgare, sempre contenuta entro una etichetta di eleganza che ne esaltava paradossalmente il potenziale eversivo. Per chi ha vissuto da adolescente questo particolare momento storico, Gene Wilder non è solamente l’attore di talento scelto da Mel Brooks per esaltare la sua comicità demenziale, ma anche l’irresistibile protagonista di Scusi, dove è il West? (1979) di Robert Aldrich, l’ideatore e sceneggiatore del capolavoro di Mel Brooks Frankenstein Junior (1974) e il regista di film come Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (1975), Il più grande amatore del mondo (1977) e La signora in rosso (1984). Non dimenticando la sua magica alchimia con Richard Pryor sin dai tempi di Wagon-Lits con omicidi (1976) di Arthur Hiller.

gene wilder frankenstein juniorQuesta versatilità si è accompagnata a una particolare capacità di scrittura che nel tempo diverrà sempre più profonda e introspettiva: non è un caso che quando Gene Wilder si ritirerà dalle scene alla fine degli anni ’90, metterà mano alla sua autobiografia Baciami come uno sconosciuto: My Search for Love and Art (2005, edita in italia nel 2010 da Sagoma Editore) e, successivamente, a due romanzi e altri scritti in cui le vicende personali sono il punto di partenza per una rivisitazione romantica del passato. Proprio attraverso queste opere di narrativa è possibile accedere alla chiave segreta del successo di Gene Wilder e anche a quella caratteristica che lo rende unico e non confrontabile con alcun comico del passato. L’aria impaurita a metà tra Harry Langdon e Danny Kaye si trasforma rapidamente nel cinismo di personaggi come Willy Wonka, una figura che anticipa certe deformazioni postmoderne del cinema dei fratelli Coen e di Tim Burton.

La classe di Laurence Olivier accoppiata alla comicità yiddish dei fratelli Marx gli consentono di passare in pochi minuti da un comportamento ingessato e glaciale a una furibonda crisi isterica. Passata alla storia la scena in Frankenstein Junior in cui con grande atto di coraggio il nostro eroe si fa chiudere in cella col mostro, intimando ai propri amici di non liberarlo per nessuna ragione al mondo: bastano pochi istanti con la creatura e vediamo Gene Wilder supplicare vergognosamente una via di uscita da quella trappola. Solo un attore pienamente padrone delle proprie capacità espressive può essere in grado di una così strabiliante performance cosi come di fare ridere con il solo silenzio.

gene wilder willy wonka e la fabbrica di cioccolatoGene Wilder è un ebreo russo e come ogni ebreo russo tende ad assomigliare a un clown, un personaggio in fuga dalle proprie origini che è costretto a fingere, recitare, in un rapporto conflittuale con la propria figura. Una messa in scena per sopravvivere e nascondere quella parte segreta, quella ricerca dell’arte e dell’amore della autobiografia sopra citata, non tradendo la poesia del proprio mondo perduto. Prendete per esempio l’episodio What is Sodomy? nel film Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972) diretto da Woody Allen in cui Gene Wilder interpreta un rispettabile medico che perde la testa per una pecora armena. L’apparente omologazione allo status symbol americano nasconde un bisogno di libertà e di evasione: scoperta la sua perversione il sistema gli si rivolterà contro facendogli perdere tutto e il poveretto si ritroverà in mezzo a una strada a sorseggiare disperato il detersivo Woolite. O ancora nel film di Robert Aldrich Scusi, dove è il West? in cui il rabbino ortodosso Abram Belinski in fuga tra fuorilegge e pellerossa mostra una camaleontica capacità di tirarsi fuori dai guai. Memorabile la scena della cena al convento in cui Gene Wilder con la sola mimica faciale è capace di creare scompiglio e rompere il millenario patto di mutismo dei frati (tra questi un giovanissimo Vincent Schiavelli). Questo conflitto perenne tra il sé e la propria ombra è fonte di innumerevoli tic e scatti di nervi: si pensi agli attacchi di panico del contabile Leo Bloom con la sua sciarpetta azzurra (evidente coperta di Linus) in Per favore non toccate le vecchiette (1968) di Mel Brooks, allo schizzato Rudy Valentine de Il più grande amatore del mondo (1977) o al pistolero ubriaco Waco Kid che fa autoironia sul suo delirium tremens in Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974). Anche il protagonista de La signora in rosso è divorato dalla nevrosi nel tentativo di tuffarsi in una avventura extra coniugale che omaggia Quando la moglie è in vacanza (1955) di Billy Wilder: proprio in questo film che ha avuto un enorme successo di pubblico, Gene Wilder fa risaltare quella vena romantica e lievemente malinconica che è sempre stata nascosta nelle sue precedenti performance. Anche il sapiente utilizzo della canzone di Stevie Wonder I Just Called to Say I Love You (premio Oscar) conferma questa particolare sensibilità che regala ai momenti comici una velo trasparente di tristezza.

gene wilder e richard pryorLa vita non è stata tenera con Gene Wilder: prima la morte per tumore ovarico dell’amata moglie Gilda Radner, i problemi di droga del grande amico Richard Pryor che poi si ammalerà di sclerosi multipla, i problemi relazionali con la figlia adottiva, l’esperienza personale con un linfoma di Hodgkin da cui guarisce dopo una lunga battaglia (e un trapianto di midollo) e infine lo spettro dell’Alzheimer che fa svanire coi ricordi tutti i momenti di una vita eccezionale, sempre vissuta donandosi generosamente. Mi piace ricordare la sua entrata in scena nel film di Mel Stuart Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (1971) che rivela la personalità di un uomo che ha sempre finto di essere qualcun altro per provare a vedere l’effetto che fa sul pubblico; il basso profilo, la figura dimessa, l’andatura zoppicante e poi con un “coupe de theatre” una capriola a far svanire la falsa impressione e a regalare l’ennesimo sorriso. Ecco mi piace pensare che con questa giravolta su sé stesso Gene Wilder sia uscito dalla vita, con un inchino elegante e commosso, regalando ai nostri giorni quella dolcezza e quella gentilezza che li rendono meno pesanti, almeno più sopportabili.

– Dove sei diretto, cowboy?
– In nessun posto speciale.
– In nessun posto speciale? Ho sempre desiderato andarci.” 

dialogo tra Gene Wilder e Cleavon Little in Mezzogiorno e Mezzo di fuoco di Mel Brooks

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