Generazione Bataclan (Parigi ci appartiene)

Si ha l’impressione che una generazione nasca e muoia nello stesso anno… Pubblichiamo un bell’articolo comparso su “Liberation” del 15 novembre, tradotto in Italia dal sito “Le parole e le cose”

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di Didier Péron

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questo articolo è uscito su Liberation del 15 novembre 2015, con il titolo: La jeunesse qui trinque.

Qui pubblichiamo la traduzione pubblicata sul bel sito Le parole e le cose

Il terribile muro di immagini che si costruisce sotto i nostri occhi attraverso le fotografie delle vittime identificate degli attentati di venerdì porta con sé una conferma: la popolazione colpita dai terroristi dell’Isis era l’idealtipo del giovane urbano cool che di sera riempie i caffè, i locali e le sale da concerto della capitale. Bisogna conoscere bene le abitudini sociali e il valore simbolico dei luoghi per non attaccare un feudo turistico (Beaubourg, gli Champs-Elysées, il Louvre) o un’enclave comunitaria (il Marais gay o il XIII arrondissement cinese), ma una zona al tempo stesso borghese, progressista e cosmopolita, certamente in corso di hipsterizzazione avanzata.

Se si guarda la mappa di questo frammento di rive droite, si capisce che queste strade testimoniano un’eterogeneità sociale ed etnica scomparsa da un buon numero di altri arrondissement. Negozi alla moda, bar pachistani, caffè arabi, ristoranti cinesi o vietnamiti, librerie musulmane e sinagoghe coesistono in uno spazio urbano movimentato. E il Bataclan era riempito quella sera da un pubblico di adolescenti e giovani adulti venuti in assoluta tranquillità ad applaudire un gruppo rock di successo che prende in giro i codici maschilisti e ottusi della sottocultura redneck. L’attentato fallito allo Stade de France voleva distruggere l’epicentro di un’ampia comunione fondata sull’edonismo sportivo, con al centro una nazionale francese dall’identità composita, una squadra i cui giocatori più brillanti provengono dalle periferie povere.

Chiaramente sembra esserci una successione storica coerente tra l’attentato contro Charlie Hebdo in gennaio e gli attacchi portati nel X e XI arrondissement venerdì sera. Due generazioni sono state prese di mira. L’assalto dei fratelli Kouachi intendeva tacitare la vecchia guardia dello spirito gauchista libertario e la sua insolenza laicista. Sparare su Cabu (76 anni), su Wolinski (80 anni), Bernard Maris (68 anni) voleva dire non avere nessuna pietà per chi scherza e nessun rispetto per gli anziani. Gli avvenimenti di venerdì decimano un altro genere di persone, ancora scosse per la vigliacchieria degli attentati di gennaio, prima a Charlie Hedbo, poi all’Hyper Cacher. Una stessa scena di irruzione violenta, il 7 gennaio negli uffici del settimanale dopo la riunione di redazione e venerdì scorso nella sala da concerto surriscaldata, nel momento culminante del concerto, come se gli jihadisti irrompessero per sorprendere e punire un collettivo che trae piacere insieme, o che semplicemente prova il piacere di stare insieme.

Se si considera che, in Francia più che altrove, una generazione si definisce per il suo battesimo di rivolta o manifestazione, che si tratti del Maggio ’68 o dei moti del 2005, si ha l’impressione che, per la prima volta forse, una generazione nasca e muoia nello stesso anno. Un ragazzo può essersi mescolato l’11 gennaio scorso all’immensa manifestazione di solidarietà con le vittime di Charlie Hebdo ed essersi fatto uccidere dieci mesi dopo, secondo un’ordalia jihadista che maneggia con temibile perversione l’aleatorietà della morte e la leggibilità dei massacri. «Nei quartieri attaccati si possono vedere dei giovani, con la sigaretta e il bicchiere in mano, che socializzano con quelli che vanno alla moschea del quartiere», dice lo storico del Medio-Oriente Pierre-Jean Luizard in un’intervista a Mediapart. «E’ proprio questo che l’Isis vuole distruggere spingendo la società francese verso un ripiegamento identitario […]. Che ciascuno consideri l’altro non più in funzione di ciò che pensa o è, ma in funzione della sua appartenenza comunitaria». Avere vent’anni nel 2015 significa essere nati nel 1995, l’anno dell’assassinio razzista di Imad Bouhoud, gettato nel porto di Le Havre da alcuni skinhead, l’anno degli otto attentati islamisti fino alla morte di Khaled Kelkal; significa avere sei anni quando cadono le Torri Gemelle. Non sappiamo descrivere la parte oscura, invisibile delle influenze politiche che danno forma agli individui negli anni di apprendistato, mentre sappiamo farlo bene con i traumi privati grazie alla psicoanalisi.

Il filosofo Frédéric Worms analizza l’emersione di una generazione risvegliata e radunata da questo evento, legata per sempre a queste morti precoci e alla necessità di lottare contro lo spirito di vendetta e di chiusura che una simile ingiustizia suscita; una generazione, dice Worms, «che era già lacerata ma non lo sapeva, e che, senza farsi ossessionare, sarà ancora là, ancora al bar». I membri dello Stato islamico sperano che e cospirano perché la società francese soccomba a una follia simmetrica alla loro, spingendola agli estremi. Ci vorrà meno coraggio a rimanere dei buoni nevrotici troppo chiacchieroni, un po’ alcolizzati, ossessionati dal sesso e vagamente colti che a portare avanti il compito che ci attende oggi più che mai – quello di fare ascoltare con forza una voce umanistica sotto il rumore dei proiettili.

Bataclan

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