Gensan Punch, di Brillante Mendoza

Chi si aspetta di vedere il Mendoza più oltranzista, ne rimarrà deluso. È convenzionale, ma prosegue il discorso sull’iperrealismo digitale tanto caro al regista. Stasera all’Asian Film Festival

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Ad un primo impatto si fatica a percepire in Gensan Punch la voce e lo stile del regista filippino. Tanto nella sua convenzionalità di genere, quanto nella matrice contenutistica, il film sembra smarcarsi dalle direttrici di un percorso ventennale, per adottare nuove (e più omologate) coordinate. L’adesione ai canoni classici del boxing movie – e dello sports drama – è già di per sé una dichiarazione d’intenti profondamente controversa, soprattutto se comparata alle riflessioni filmiche a cui Mendoza ci ha abituato negli anni, e da cui sembra prendere le dovute distanze. Ma quel che ad uno sguardo superficiale risulta discutibile, rivela nel profondo un sostrato familiare, rintracciabile sia nel senso fenomenologico dello spazio – in particolare nelle sequenze sul ring – sia nell’estetica realista, in continuità con i codici strutturali dei precedenti film del cineasta.

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Ma procediamo con ordine. A Nao Tsuyama (Shogen) non manca nulla per essere un pugile professionista. Ha talento, senso del dovere, oltre alle giuste motivazioni che lo spingono a superare qualsiasi ostacolo gli si pari davanti. Ma a causa di un incidente alla gamba, sostituita da tempo con una protesi metallica, gli è negata la licenza per combattere, motivo per cui dal Giappone si trasferisce al quartiere filippino di Gensan, dove cercherà di iniziare una carriera da professionista. Una storia di redenzione e di riscatto, quella del film, che nel tono come nel registro, sembra cozzare con la vocazione filmica di Mendoza, ma che è eseguita secondo i canoni di messinscena tipici del cineasta. È nello spettro della fotografia digitale che si nascondono le pieghe realiste del suo cinema, vera (e unica) cornice significante in cui si inverano tutti i discorsi delle narrazioni mendoziane. Le numerose sequenze sul ring in Gensan Punch sembrano, di fatto, emergere non dallo stesso racconto, ma dai fantasmi delle precedenti opere del regista. Assurgono allo stato di frammenti inter-spaziali, che per mezzo di uno sguardo documentaristico, entrano in dialogo con le immagini infografiche di Kinatay e Serbis. Ma diversamente dalla realtà distrettuale di Resbak (presentato anch’esso all’Asian Film Festival) qui i quattro angoli del ring fungono da spazio liberatorio, non più limitante, dove il giovane e sofferente protagonista può finalmente sfidare quelle costrizioni biologiche (e burocratiche) che cercano di limitarlo.

E finché il film si mantiene sul filo della documentazione oggettiva, assurge alla sua dimensione congeniale. Ma è nel momento in cui Mendoza accelera sul pedale del dramma, che Gensan Punch perde progressivamente il suo spunto vitale. L’accenno ad una più che improbabile romance è distraente, mentre l’evocazione in flashback di un trauma passato determina un eccessivo didascalismo. In un contesto iperrealistico come quello del film, la messinscena del (vicario) rapporto padre-figlio tra Nao e l’allenatore Rudy (Ronnie Lazaro) non deve essere affrontata attraverso il dramma, ma con i codici immersivi del digitale. Un approccio di cui Mendoza è certamente cosciente, nonostante lo contamini in parte con i sensazionalismi tipici del boxing movie.

In Gensan Punch perciò non c’è sperimentazione, né un sostrato polemico. Chi si aspetta di vedere la stessa elaborazione critica di Resbak, rischia di rimanere deluso. Perché nell’approcciarsi ad una cornice storicamente così codificata, Mendoza ha cercato di realizzare (e l’obiettivo l’ha sicuramente raggiunto) il suo film più convenzionale, in vista di un approdo verso le sponde sicure del dramma. E nonostante si percepisca una evidente tendenza all’omologazione narrativa, in fin dei conti ne emerge un racconto propriamente sincero, disposto a sacrificare ogni parvenza di originalità, sul terreno di un’emotività priva di mediazioni.

Titolo originale: id.
Regia: Brillante Mendoza
Interpreti: Shogen, Ronnie Lazaro, Beauty Gonzalez, Kaho Minami, Jeffrey Rowe
Durata: 110′
Origine: Filippine, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
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