GERMAN FILM FESTIVAL 2004 – Mescolanze (con)vincenti

Partita cinque anni fa, la manifestazione propone al pubblico italiano ( a Roma, dal 2 al 6 aprile) la più recente produzione tedesca. In questa edizione da sottolineare la presenza di diversi titoli premiati nei vari festival internazionali. In più, come sempre, ricca e stimolante è la sezione "Next Generation", dedicata ai corti.

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Al festival del cinema tedesco si respira un'aria contaminata e dissipante, in cui il "dramma" del cinema europeo sembra un'eco lontana, che vorrebbe tutti uniti nel perpetrare asfissianti e presunte autarchie artistiche (vedi "Dogma", per esempio). L'aspetto che più salta agli occhi, nella quinta edizione del "German Film Festival 2004", è il ricco programma di titoli che hanno ottenuto riconoscimenti importanti nei diversi festival internazionali. Si comincia con l'Orso d'oro di Berlino 2004, Gegen Die Wand (A testa bassa), di Fatih Akin, anteprima assoluta in Italia. Opera "métisse" (il regista è di origini turche) che ripercorre un certo tipo di cinema ormai fortemente connotativo in Germania da almeno quindici anni (vedi 80 mq. di Germania) Sulle orme di Good Bye Lenin, la rinascita del terzo millennio passa per opere di "genere" ironico, melodrammatico, esotico(?), scorporato dall'alto, criptato e problematico stile del "Nuovo Cinema" anni Settanta. L'unione europea ha comportato, per certi versi, un paradossale allontanamento. In quegli anni c'era una corsa per vedere Herzog, Wenders, Fassbinder, Schloendorff; oggi siamo presi da terre lontanissime, dal portento afro-asiatico e i nostri vicini sono sempre meno interessanti perchè sempre più stritolati dall'appiattimento comunitario. Quando però, alla metà degli anni ottanta, la Germania ha scoperto la commedia (acida, amara, esistenzialista), dando la possibilità alle svariate anime cosmopolite di rivendicare spazi riconoscibili, il pubblico lentamente si è riavvicinato. 

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Strano davvero, ma assai confortante che l'ossigeno (oltre al petrolio), per una cinematografia sull'orlo del fallimento, sia giunto da sponde extracomunitarie. É il caso anche di Schussangst (Paura di sparare), del georgiano Dito Tsintsadze (vincitore a San Sebastian 2003): altra obliqua prospettiva della società tedesca contemporanea e dei fenomeni di emigrazione interna (al di là o al di qua del muro). Oltreoceano invece va a finire il protagonista di Schultze gets the Blues (Shultze vuole suonare il Blues), di Michael Schorr, (premio speciale alla regia nella sezione Controcorrente di Venezia 2003). Da un piccolo villaggio dell'est, l'omone sogna di "sporcare" la tradizionale polka con lo zydeco, musica creola della Louisiana. Cadenze più consone all'estremo nord continentale per un'esplorazione alienante della segregazione storico-sociale.


 Anche a Locarno 2003 ha vinto un tedesco: Das Wunder Von Bern  (Il miracolo di Berna), di Soenke Wortmann, ambientato nel 1954, anno della vittoria mondiale della nazionale di calcio contro l'Ungheria del mitico Puskas. A tal proposito, il cinema sembra aver anticipato (una volta tanto) di gran lunga il calcio (e non solo) tedesco, oggi povero di talenti perchè forse restio a usare la forza propulsiva dei radicati innesti multietnici.

Le pellicole menzionate (tranne Schussangst) saranno distribuite in Italia nel mese di aprile. Anche Luther lo vedremo sui nostri schermi e forse proprio per questo è stato ritirato all'ultimo momento dal festival per mano della Metacinema: l'ultima apparizione di Peter Ustinov potrebbe essere sfruttata come valore aggiunto.


A conferma della versatilità e del costante fermento creativo, il festival proporrà una serie di film (12 lungometraggi in cerca di distribuzione) dai contenuti molteplici e una cospicua rassegna di "corti" provenienti dalle Università e Scuole di cinema. Tendenze di un Paese desideroso di rompere la corteccia protettiva di un benessere materiale rimesso in discussione e, nello stesso tempo, consapevole del proprio tesoro: risorse intellettuali da cui estrarre libertà di fraseggio e rigore formale.


È in tale contesto che il posto d'onore è assegnato, nuovamente,  al "classico" restaurato. Questa volta tocca a Il gabinetto del Dottor Caligari, di Robert Wine. Per l'occasione Aliosha Zimmerman (tra i più importanti pianisti del cinema muto) accompagnerà con una propria partitura (l'originale è andata perduta) il capolavoro dell'Espressionismo.

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