GERMANIA 2006 – Lassù qualcuno ci ama

E alla fine, come in un grande romanzo hollywoodiano, è la nazionale italiana a conquistare il mondiale. Proprio loro, i rappresentanti del calcio più sporco e corrotto del mondo. Eroi macchiati di "un'infamia nazionale", che ci piace immaginare come quella "sporca dozzina", un manipolo di "bastardi" che si redimono per la gioia nazionale.

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Difficile restar fuori dalla retorica, in un senso o nell'altro, in occasioni come queste. Ci si può buttare nell'epica dei "campioni del mondo", o nella critica del calcio come "grande illusione".

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Oppure gettare con presuntuosa intelligenza uno sguardo sociologico sulle masse festose riversatesi nelle strade di tutto il paese. Si può giocare, ironizzare, gioire, volare con occhio angelico sopra le piazze festose, con le bandiere che sventolano e le persone che, finalmente, sorridono. E' possibile, infine, esaltarsi ed  indignarsi, per la vittoria degli azzurri che certo sono "brutti, sporchi e cattivi", magnifici e impresentabili rappresentanti di un mondo-calcio che è lo specchio di una società che negli ultimi vent'anni ha dato, forse, il peggio di sé.


Tanti discorsi possibili, insomma, dietro una vittoria in un campionato del mondo. Perché il calcio, estremo mistero dell'uomo contemporaneo, è tutto e il contrario di tutto. Contiene in sé la storia e il romanzo, lo "sporco mondo" e la gioia dell'infanzia, la dolce bellezza dell'arte e delle geometrie, come pure uomini che hanno dei valori che con l'etica e la morale spesso non hanno nulla a che vedere. Ragazzi cresciuti in fretta, tutti dentro il mondo dorato dei milionari, pronti a farsi di tutto pur di vincere e ottenere i vantaggi del successo. Dentro uno spaccato sociale che in questi mesi si è mostrato in tutta la sua miseria, dove gli affari prevalgono sul gioco, i profitti sulle regole, il dio denaro e il potere sulla sana competizione. Però, come in un magnifico romanzo hollywoodiano d'altri tempi, questi ventitre uomini si sono ritrovati a rappresentare, al mondo intero, un calcio di cui vergognarsi. Sembrano già lontane le dichiarazioni di Camoranesi e Cannavaro, che quasi si trinceravano, con gli altri, in una difesa estrema del loro (sporco) mondo. Tutto il mondo ha guardato questi giocatori come i rappresentanti del campionato più sporco, irregolare e falso del pianeta. Eroi macchiati di un'infamia nazionale, i ventitre di Lippi, il tecnico con il "conflitto d'interesse" più evidente di tutti, si sono ritrovati assieme a combattere in un mondiale, per loro, impossibile. Impossibile perché, alla vigilia, il Brasile, l'Argentina, l'Inghilterra, la Spagna e altri parevano più attrezzati e competitivi, e soprattutto fuori da quell'immagine di sporcizia che il calcio italiano ha messo in mostra in questi mesi. Sembrava, però, di assistere a quei film hollywoodiani dove i carcerati sfidano le guardie, dove i reietti affrontano l'impossibile vittoria che nessun establishment vorrebbe mai regalargli. Perché certo la vittoria degli azzurri al mondiale non  avrebbe fatto piacere a nessuno degli organizzatori, tanto l'immagine del calcio e del nostro paese appariva macchiata inesorabilmente. Eppure, un poco alla volta, questi ragazzi e questo CT tutto dentro il sistema calcio della "vergogna nazionale", hanno saputo creare qualcos'altro. E una alla volta sono sparite le magliette con su la scritta "Lippi non è il mio allenatore".  Forse che il successo renda meno gravi i peccati? No. Nessuno delle migliaia, milioni di persone che stanotte hanno festeggiato per le strade d'Italia, vuole più questo calcio "finto". Perché quello "vero" è molto più bello e appassionante. Quello con i giocatori stanchi, che non riescono a riprendersi così in fretta da un grave infortunio (Totti), quello dei crampi di Henry, campione stremato, quello della follia di Zizou, quello di un ragazzo che è stato punito severamente (De Rossi), e che al momento opportuno sa riscattarsi andando a tirare un rigore con freddezza incredibile. Quello della fortuna (la traversa e linea del rigore di Trezeguet) e della sfortuna (la traversa di Toni). Quello dove fino alla fine non sai chi è che vincerà la partita.

C'era questa notte un'aria strana per le strade, come una voglia, un desiderio represso da tempo. Non tanto, come leggeremo sicuramente, di un rinato patriottismo d'altri tempi, quanto piuttosto di uscire fuori da questi anni bui in cui, tutti, ci siamo davvero vergognati di essere italiani. E se pensavamo che fosse Del Piero l'elemento portasfortuna oggi possiamo avere la sensazione che  l'ondata negativa del "Marchio Italia" forse, se l'è portata via un'elezione che con una manciata di voti, ha mandato via dal governo quel "divisore nazionale" che si era, letteralmente, rubato il marchio, la bandiera e "l'urlo nazionale".  E per una manciata di centimetri, con quel pallone che sbatte sotto la traversa e rientra in campo, la nazionale italiana ha potuto godere di una vittoria, senza che nessuno, per fortuna, chiedesse di "ricontare i rigori"….


La sensazione, nel vedere i volti sorridenti, le urla folli e dissennate di persone di tutte le età per le strade, è che ci fosse il bisogno di fare festa, sì, ma soprattutto di riconoscersi nell'altro, fuori dalle sciocchezze che ci hanno propinato in questi anni sul "paese diviso in due", destra e sinistra e odi (tardo) ideologici. Se l'Italia del 1982 sembrava metter fine agli anni di piombo, e arrivava poco dopo il grande scandalo del calcio-scommesse, quest'Italia del 2006 forse arriva a chiudere l'epoca craxiana-berlusconiana, un ventennio che un giorno forse gli storici ricorderanno come una "dittatura sottile" dell'immaginario, in un'epoca dove per fortuna le dittature d'altri tempi non sembrano più replicabili.  Sarà fantacalcio-fantapolitica, ma passare dal presidente socialista Pertini "campione del mondo" a Napoletano ex comunista, sembra quasi un disegno, forse perverso certo simbolico.

E di simboli, in questo mondiale che noi di Sentieri selvaggi, premonitori, sentivamo di dover raccontare, è pieno. Come quella testata di Zidane contro il petto di Materazzi, quasi il segno di una  impossibile vittoria, dove il campione, l'eroe richiamato per la battaglia decisiva, si scontrava contro il muro di un manipolo di combattenti d'altri tempi.  La forza della nazionale è stata proprio nella sua unità, nell'aver avuto un gruppo che si è cementato con i fatti. Hanno giocato in ventuno, segnato in dieci, e i campioni (Totti, Del Piero, o chi per loro), sono stati umili e servitori come i Gattuso e i Perrotta. E poi è stata la nazionale dei "riservisti", da Materazzi – eroe popolare che sembra proprio un personaggio mitologico – a Grosso, passando per Iaquinta. E la nazionale dove gli eroi che avremmo dovuto lasciare a casa, Buffon, Cannavaro, Lippi stesso, sono risultati alla fine i migliori, quelli che non hanno sbagliato mai.  Perché il calcio, come la guerra, non è un gioco "pulito", e per vincere servono tutti, anche gli eroi "impresentabili". Che oggi appaiono agli occhi di tutti come "rovesciati di segno". Sono gli "scommettitori", i "flebisti", i genitori di "figli Gea", di cui vergognarci, o sono diventati quella "sporca dozzina", quel manipolo di "bastardi" che si redimono per la gioia nazionale? Sono punti di vista. Qualcuno vedrà in questa vittoria il segno di una "riconciliazione nazionale" per cancellare tutti i peccati, qualcun altro il "punto zero" da cui ripartire per un paese migliore, dove è possibile riscattarsi agli occhi del mondo.


Tutto è possibile, del resto. Ma per quel che ci riguarda preferiamo chiudere con gli occhi lucidi di un bambino di dieci anni, che alla fine dei festeggiamenti, stremato ed emozionato, ha detto all'amico coetaneo, con la giusta retorica dell'infanzia: "che nottata indimenticabile!".


 


 

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