GERMANIA 2006 – Pirlo, il pirla e una perla… "Tira o parla!!!"

Lo scioglilingua non smuoverà il mediano metodista che nel mare magno di centrocampo traccheggia. Come i nostri "Prodi", sembra possa annegare da un momento all'altro: boccheggia e spesso è tagliato fuori da traiettorie che lo superano, costringendo tutti noi a sperare nel disimpegno se non proprio liberale almeno liberatorio.

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Lo scioglilingua non smuoverà il mediano metodista che nel mare magno di centrocampo traccheggia. Sembra avere il freno a mano inserito o trasportare una lavatrice sulle spalle, ma mai da l'impressione di perdersi definitivamente in quel luogo più vasto di quanto dicano le sue misure, in quel luogo di transito e di caos in cui tutti si dimenano. A Roma, e probabilmente da qualche altra parte del Paese, è soprannominato "Sessantotto", per la sua aria da fricchettone capellone, con quella voce che è l'impronta esatta del suo gioco, sia dinamica, sia tecnico-estetica. Contro la Germania in semifinale, quasi al centoventesimo minuto (secondo tempo supplementare) ha calciato da fuori area di sinistro (non è il suo piede) costringendo il portiere avversario alla deviazione in angolo. Dal corner è arrivato il goal: respinta di un difensore di testa, Pirlo, appostato al limite dell'area, stoppa e mette a terra la palla, con calma flemmatica e "olimpionica", da far bloccare il tempo per concedersi ad insulti ed imprecazioni, aspetta l'attimo che sembra non arrivare mai, aspetta il momento per servire nello spazio il compagno esausto nell'attesa. Una "perla" nel corridoio (o pertugio) giusto, che lascia di stucco anche chi ormai non ci sperava più, anche chi di Pirlo pensa che la nazionale e il Paese possa e debba farne a meno. Si muove in orizzontale, dimena quelle braccine per far capire chi comanda, non si arrabbia mai e quando lo fa sembra che nessuno stia ad ascoltarlo. Gioca al risparmio, ecco perché quest'anno è arrivato a disputare oltre sessanta partite, tra Nazionale e Milan. Pochi passi, spostamenti minini, assist controllati e sicuri, ritmo standard. Sembra essere atterrato in mezzo al campo, viaggiando nel tempo, come un "pirla" di un'epoca ormai remota, in cui a centrocampo ancora si poteva respirare, l'erba era più alta perché meno battuta e tra i reparti ci si rispettava con pudore, lontani dall'odierna e stressante promiscuità.

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Nel mare magno dell'Europa Unita, delle frontiere saltate, delle squadre corte e maglie strette, il metodista ricorda il nostro Presidente del Consiglio, Romano Prodi, che sembra possa annegare da un momento all'altro: boccheggia e spesso è tagliato fuori da traiettorie che lo superano, costringendo tutti noi a sperare nel disimpegno liberatorio più che liberale. Il pubblico rumoreggia e insulta, bestemmia e rimpiange già Albertini (sindaco/calciatore), Di Biagio, Giannini, Antonioni (anche se gli ultimi due coprivano zone del campo diverse) e qualcuno ancora Berlusconi. Ma nel buio del circolo o della piazza, non vedi la faccia del contestatore, senti solo la sua voce e poi un acuto strozzato in gola, un urlo bestiale e braccia elevate al cielo, a chiedere perdono per le cattiverie di un istante prima. Tra le stelle d'Europa, la nostra è quella revisionista e conservatrice: se la partita finisce bene, non conviene star qui a sottilizzare. Pirlo se potesse parlare, se solo potesse esprimere il senso geometrico del gioco di una vita, se solo potesse rivelare tutta quella febbrile angoscia che pochi connazionali saprebbero controllare, allora potremmo lasciarci andare nella promiscuità di un abbraccio, avere il coraggio di incrociare gli sguardi e trovare quello che stavamo cercando nell'esultanza brancolante di una banale rivincita.

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