Ghost Stories, di Andy Nyman e Jeremy Dyson

Viaggio alla scoperta dei meandri della mente, vero e proprio esperimento a cui Nyman e Dyson sottopongono gli spettatori mentre danno loro l’illusione di assistere a un classico horror a episodi

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Il cervello vede quello che vuole vedere, plasma la realtà creando immagini rassicuranti per arginare la sofferenza o straordinarie avventure per colmare vuoti esistenziali. Ma sa anche generare mostri spaventosi oltre ogni immaginazione, talmente raccapriccianti da far impallidire i mostri interiori e metterli in fuga, attribuendo a creature sovrannaturali quello che sfugge al controllo della razionalità, i sentimenti più abietti e i traumi mai sciolti. Questo è il punto di partenza dell’indagine di Andy Nyman e Jeremy Dyson, che mirano a scandagliare la mente umana alla ricerca delle paure più ancestrali, per poi farle esplodere sulla scena, fino a raggiungere la catarsi finale, la risoluzione del caso. E l’unico modo per portare lo spettatore a immedesimarso con l’orrore che ha davanti agli occhi, è farlo entrare nel tunnel della paura, prima scavalcando la quarta parete, poi infrangendo l’obiettivo della macchina da presa.
Così nel 2010 Nyman e Dyson hanno portato in scena Ghost Stories, una pièce teatrale horror di teatro immersivo, che ha sbancato i botteghini di Londra per poi sbarcare nei teatri di tutto il mondo. Poi lo spettacolo si è trasformato in un film, scritto e diretto dagli stessi registi, che hanno provato a plamare il linguaggio teatrale su quello cinematografico, cercando di ricreare le stesse emozioni in un medium diverso, ma altrettanto potente. E non è un caso che la scena si apra proprio in un teatro, dove il Professor Philip Goodman (Andy Nyman) fa irruzione per smascherare un sedicente sensitivo. Goodman infatti, noto a tutti per il suo proverbiale scetticismo nei confronti di qualsiasi evento sovrannaturale, conduce il programma televisivo ‘Truffe Paranormali’, nel quale porta alla luce la verità su attività paranormali ingannevoli, indagando sui casi più spaventosi mai accaduti. Un giorno però, il Professor Goodman viene contattato dal suo predecessore, lo psicologo Charles Cameron, scomparso da tempo in circostanze misteriose, che gli chiede di risolvere i tre casi più complessi della sua carriera, quelli che la mente umana non è stata in grado di scandagliare dimostrando senza ombra di dubbio la presenza di forze sovrannaturali.  Goodman accetta la sfida di buon grado, continuando a credere fermamente che anche le creature più spaventose non siano altro che un frutto dell’immaginazione. Così si mette in viaggio versoTony Matthews (Paul Whitehouse), un guardiano
notturno presso un ex-manicomio, perseguitato da una presenza misteriosa durante la sua ultima notte di servizio. Poi affronta il caso del giovane Simon Rifkind (Alex Lawther), un ventenne fuori controllo, la cui vita è stata sconvolta dall’incontro con il diavolo in persona, fino ad arrivare all’agente di borsa Mike Priddle (Martin Freeman), aggredito da visioni spaventose alla vigilia della nascita del suo primogenito. Goodman è perso, disorientato da casi così diversi e apparentemente sconnessi, ma consapevole del fatto che in realtà nascondano un sottotesto comune, che va ben oltre l’orrore e la paura contingente. E quando la viene verrà a galla, quando Goodman finalmente troverà la chiave che apre tutte le porte, la sua vita non sarà più la stessa.

In questo senso Ghost Stories è molto più di un film di paura, è un viaggio alla scoperta dei meandri più oscuri della mente, un vero e proprio esperimento a cui Nyman e Dyson sottopongono gli spettatori mentre danno loro l’illusione di assistere a un classico horror a episodi, che tanto ricorda i film delle Amicus Anthologies degli anni ’60 e ’70. Tuttavia l’equilibrio tra quello che si vede e quello che si percepisce a livello inconscio è molto sottile e, per quanto i registi si sforzino di riportare il teatro immersivo sul grande schermo, l’esperienza cinematografica non è altrettanto efficace. La percezione di avere davanti un film fuori dal tempo infatti, è più forte persino della paura che suscita e, sebbene il collegamento intrinseco tra gli episodi sia una novità del genere, non è abbastanza potente da diventare innovazione. Decisamente innovativo e ben orchestrato è invece il costante richiamo al teatro, con sipari immaginari che aprono e chiudono le scene, scenografie che cadono come un velo e trasportano in dimensioni parallele, in cui realtà e immaginazione si confondono. Con questo espediente anche gli spettatori entrano ed escono senza rendersene conto dal mondo finzionario, fino a perdersi nei labirinti della narrazione e, sebbene l’esperienza sia ben lontana dal teatro immersivo, di sicuro non resteranno immuni da un effetto di straniamento, che li accompagnerà per tutta la durata del film e per molto, molto tempo dopo essere usciti dalla sala.

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Titolo originale: id.
Regia: Andy Nyman, Jeremy Dyson
Interpreti: Martin Freeman, Alex Lawther, Andy Nyman, Kobna Holdbrook-Smith, Jim Halfpenny, Paul Whitehouse, Daniel Hill, Paul Warren, Nicholas Burns, Deborah Wastell, Louise Atkins, Amy Doyle
Distribuzione: Adler
Durata: 98′
Origine: UK, 2018

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